La prima era arrivata in Canada, nel 1968. Aveva vinto Denny Hulme davanti al fondatore Bruce McLaren, entrambi con la filante M7A, ed a suo modo fu una doppietta storica: non solo perch&eacute; fu la prima, ma fu pure l&rsquo;unica in cui comparve il nome di Bruce, che la McLaren l&rsquo;aveva fatta nascere. Oltre mezzo secolo dopo, accanto all&rsquo;arancione c&rsquo;&egrave; un po&rsquo; di nero e sulle due macchine ci sono Oscar Piastri e Lando Norris, protagonisti della doppietta numero 50.  La classifica Piloti F1 dopo il GP di Cina    McLaren auto da battere, senza dubbio  Non &egrave; un mondiale ipotecato, e forse nemmeno indirizzato guardando al recente passato. La Red Bull, 12 mesi fa, sembrava passeggiare: tempo un paio di mesi e si sarebbe riscoperta vulnerabile. Lo &egrave; anche oggi, presa dai suoi affanni, facendo parte di quella schiera che sa che, se le MCL39 non sciupano niente, le pu&ograve; guardare solo dal retrotreno. La Red Bull &egrave; sempre pi&ugrave; Verstappen-dipendente, e si fa fatica a collocarla considerando che l&rsquo;altro pilota, Lawson, non ce la fa ad uscire dal Q1; la Ferrari lotta con i suoi fantasmi, mentre la Mercedes ha fatto chiaramente un passo avanti, ma ancora non abbastanza per vincere delle gare contro questa McLaren. Insomma, nel panorama di questa F1, la McLaren sorride, consapevole di poterselo permettere.  Non &egrave; un mondiale ipotecato perch&eacute; a breve (gi&agrave; a Suzuka?) arriveranno le cartucce da sparare dei primi aggiornamenti ed il quadro, lo sappiamo, pu&ograve; mutare in fretta. La MCL39, per quanto ottima, non domina con distacchi giganteschi: Russell tutto sommato &egrave; giunto a 11&rdquo; da Piastri, non un&rsquo;enormit&agrave; (sono due decimi al giro scarsi, divario non incolmabile). Ma &egrave; di sicuro quella con il potenziale maggiore, se i piloti (o il team) non sbagliano come accaduto nella qualifica sprint. Resta un po&rsquo; difficile da guidare, e Norris non smette di ripeterlo: pu&ograve; essere un tema da tenere bene a mente, proprio considerando quanto accaduto con la Red Bull, con le lamentele di Verstappen a livello di guidabilit&agrave; raccolte solo tardivamente; ma per ora &egrave; la macchina da battere e pu&ograve; esserlo per un po&rsquo;.  La classifica Costruttori  Norris-Piastri: &egrave; derby in famiglia?  L&rsquo;imperativo per McLaren, in questo momento, &egrave; capitalizzare. Dal Giappone in poi, dove qualcuno potrebbe portare i primi sviluppi, seguir&agrave; un trittico di gare: dopo Suzuka si va in Bahrain e poi a Jeddah. Se i rapporti di forza non mutassero, McLaren avrebbe veramente la possibilit&agrave; di prendere margine in classifica. Questo, a sua volta, potrebbe significare una lotta ristretta tra Norris e Piastri, e per quanto serva tutta la cautela possibile al riguardo, non &egrave; nemmeno da escludere. Piastri, che nel fine settimana di Shanghai si &egrave; divertito a raccontare di essere &ldquo;per 1/16 cinese&rdquo;, ha dato un bel segnale dopo Melbourne: ha gi&agrave; dimezzato il distacco da Norris, a sottolineare come le cose possano cambiare in fretta. Si rispettano, scherzano tra loro, ma soprattutto sanno aiutare la squadra; hanno stili di guida differenti, Lando e Oscar, ma quello che per alcune squadre &egrave; un limite, per la scuderia inglese questo pare essere un vantaggio: in Cina l&rsquo;inglese ha guardato i dati dell&rsquo;australiano e viceversa, ed in questo modo entrambi hanno fatto passi avanti, sia in termini di set-up che di guida, dopo la sprint.  Per ora gli altri non sono cos&igrave; lontani da vedere le McLaren grandi come un puntino, ma non sono neanche cos&igrave; vicini da allungare il braccio e prenderle: un divario c&rsquo;&egrave; e, in una stagione cos&igrave;, ogni decimo pesa come un macigno. Non saranno Senna e Prost, simboli della lotta in famiglia per eccellenza, e non saranno nemmeno Hulme e Bruce McLaren, che oltre che compagni di squadra erano soprattutto amici; ma Lando Norris e Oscar Piastri possono davvero dare vita ad un derby in famiglia. Con il sospetto che questa doppietta non sar&agrave; affatto l&rsquo;ultima del campionato.  Piastri padrone a Shanghai: &quot;&Egrave; la vittoria che meritavo a Melbourne&quot; 

Quella di Shanghai &egrave; la doppietta numero 50 nella storia del team di Woking, dominante nelle prime due gare della stagione: decisamente troppo presto per parlare di campionato ipotecato, ma una lotta in famiglia tra Piastri e Norris non &egrave; neanche da escludere

GP Cina, McLaren: 50 sfumature di papaya

James Allison    La sua &egrave; una storia umana, oltre che professionale. Quando la moglie Rebecca se ne &egrave; andata all&#39;improvviso per meningite fulminante, ha ovviamente dovuto riorganizzare la sua vita, per badare ai figli e dare forza anche a s&eacute; stesso. Con il tempo ha trovato un&#39;altra persona, Chloe, con la quale le cose sono andate bene: lei viveva in Francia, ma ha deciso di seguirlo in Inghilterra e lui, di rimando, aveva scelto di fare un passo indietro per consolidare il rapporto. Trovata una nuova stabilit&agrave;, ha deciso di rifare un passo avanti, e da aprile eccolo di nuovo in veste di direttore tecnico in Mercedes. Della W14 ha dovuto analizzare soprattutto i punti deboli, senza poter mettere grande mano negli sviluppi: gli sforzi si sono concentrati sulla W15, la macchina che deve essere un vero punto di svolta a Brackley. Un DT non pu&ograve; fare miracoli, ma &egrave; sempre meglio avere le persone giuste al posto giusto, e nei mesi del rientro non ha lavorato su bulloni o alettoni, ma sulle persone: la Mercedes si era disunita tra i reparti smarrendo la fiducia, sta a lui ristabilire il vecchio equilibrio per far ritrovare autostima in fabbrica.  &nbsp;  Fernando Alonso    La carta d&#39;identit&agrave; dice 42 primavere, e mai come nel suo caso si ha la sensazione che l&#39;et&agrave; sia solo un numero. Se sta davanti, &egrave; un bene per tutti: lotta, diverte, polemizza quando qualcosa non gli va a genio. La numero 33 non &egrave; arrivata ed &egrave; un peccato, perch&eacute; con l&#39;inizio travolgente di stagione che hanno avuto lui e la Aston Martin ci sperava: poi ha dovuto fare i conti con ambizioni ridotte, leggasi difficolt&agrave; negli sviluppi, ma sul finale di campionato &egrave; tornato a togliersi soddisfazioni come il podio di Interlagos. Dategli una macchina vincente, al resto penser&agrave; lui.  &nbsp;  Valtteri Bottas    Ad inizio carriera sembrava apatico, invece con il trasferimento ad Hinwil ha tirato fuori personalit&agrave;: si fa i baffetti da messicano, veste e parla in modo un po&#39; pi&ugrave; stravagante, ha pure posato per un calendario a scopo benefico (un fine nobile: applausi). Non &egrave; pi&ugrave; il pilota timido, introverso ed in alcuni casi pure un po&#39; impacciato che era ai tempi della Mercedes. No, adesso &egrave; uno che se la gode di pi&ugrave;: forse ha capito che il meglio &egrave; passato, probabilmente &egrave; consapevole che a 34 anni compiuti le stagioni in F1 non sono eterne ed &egrave; meglio vivere sereni (che non significa essere superficiali) finch&eacute; si pu&ograve;. Certo, le prestazioni ne hanno risentito ed i bilanci del 2023 lo vedono tra i bocciati, se &egrave; vero che non ha pi&ugrave; fatto una grande differenza rispetto a Zhou, ma non &egrave; che questa C43 permettesse di inventarsi chiss&agrave; che.  &nbsp;  Bruno Famin    L&#39;ennesima ricostruzione di casa Alpine porta il suo volto. Una vita in Peugeot, un passaggio alla Fia, una rapida promozione in Alpine: nel febbraio 2022 viene nominato direttore esecutivo responsabile del motore, a luglio &egrave; promosso alla carica di vice presidente e responsabile di Alpine Motorsport ma dopo due settimane, dopo il terremoto interno, Luca De Meo non pu&ograve; fare altro che indicarlo come team principal ad interim. In un colpo solo, ad Enstone hanno fatto fuori team principal (Otmar Szafnauer), direttore tecnico (Pat Fry) e direttore sportivo (Alan Permane): per la ricostruzione, l&#39;ennesima, ci vorr&agrave; tempo. Buon lavoro.  &nbsp;  Christian Horner    Quando fu chiamato a dirigere la debuttante Red Bull, un paio di mesi prima dell&#39;inizio del mondiale 2005, in tanti storsero il naso, tanti altri invece non sapevano nemmeno chi fosse. Si era fatto notare a capo della Arden dopo aver interrotto, a soli 25 anni, la carriera di pilota: in pista ha incrociato pure Sophie Kumpen, la mamma di Verstappen, ma aveva lasciato senza rimpianti perch&eacute; aveva capito in fretta che con il volante in mano non sarebbe arrivato lontanissimo. Stimava in modo pazzesco Adrian Newey e stravedeva per la sua March 881: qualche tempo dopo lo ha convinto ad aggregarsi alla sua squadra e la storia non &egrave; pi&ugrave; stata la stessa. Una stagione dominata, con un sacco di record ed il primo 1-2 in classifica Piloti da quando &egrave; alla Red Bull, ormai da 19 stagioni. Nella vita privata tifa Coventry, si gode il suo chiacchierato matrimonio con Geri Halliwell, ex Spice Girls, gestisce alla perfezione il concetto di famiglia allargata ed ha felicemente tagliato il traguardo dei 50 anni.  &nbsp;  Liam Lawson    Arriva dalla Nuova Zelanda, un Paese in cui quando la F1 corre &egrave; gi&agrave; domenica sera, se non addirittura luned&igrave; mattina. Eppure, i kiwi hanno una bella tradizione con il Circus: Bruce McLaren, Denny Hulme e Chris Amon i pi&ugrave; grandi. Cinque anni dopo Hartley, Liam ha riportato a punti i kiwi sfruttando al massimo l&#39;opportunit&agrave; arrivata dal ko di Ricciardo, chiudendo 9&deg; a Singapore come ciliegina sulla torta di una stagione che lo ha visto impegnato principalmente nel difficile campionato di Super Formula, dove ha chiuso 2&deg; in graduatoria con tre vittorie all&#39;attivo. Abbastanza perch&eacute; la Red Bull lo tenga in caldo per un sedile da titolare non pi&ugrave; tardi del 2025.  &nbsp;  Laurent Mekies    Da Faenza e ritorno. Prima di lavorare alla Fia e di approdare alla Ferrari, era stato capo ingegnere nell&#39;allora Toro Rosso, e l&igrave; dove tutto &egrave; cominciato (anche se, va detto, ha avuto una parentesi iniziale alla Arrows) &egrave; pronto a tornare per il passo pi&ugrave; grande della carriera, quello di team principal. La storia a Maranello (era direttore sportivo) si &egrave; chiusa senza titoli ma evidentemente la galassia Red Bull punta sulle sue qualit&agrave;: rilever&agrave; lo scomodo posto di Franz Tost, per 18 anni alla guida dei faentini. Non farlo rimpiangere sar&agrave; la vera sfida.  &nbsp;  Andrea Stella    Una volta disse che, da vecchio, vorrebbe poter dire di aver lasciato ai suoi figli un mondo migliore di come lo ha trovato lui. Di sicuro, lo sta facendo nella piccola Woking, dove in un anno ha ribaltato la McLaren: sono partiti a fari spenti, ma sono cresciuti talmente tanto da ritrovarsi, su determinate piste, quale prima alternativa alla Red Bull. &ldquo;Gobbo&rdquo; di fede calcistica, schiena dritta nel lavoro in fabbrica: sta portando in Inghilterra gli insegnamenti del fantastico periodo in Ferrari, dove ha potuto osservare da vicino Todt, Brawn ma pure Schumacher, Raikkonen e Alonso. Uomo apparentemente semplice, che vede nella passeggiata al parco con la moglie il miglior modo per rilassarsi, ma quando gli chiedono cosa gli piaccia di pi&ugrave; fare, risponde &ldquo;vincere&rdquo;.  &nbsp;  Max Verstappen    Un&#39;alterigia da battaglia sempre pronta a scendere in pista, anche quando domina e non ne avrebbe bisogno. E&#39; il sintomo di una fame atavica che non si placa, che non accenna a diminuire. Il suo ingegnere di pista Gianpiero Lambiase, ha gi&agrave; gli incubi: &ldquo;Mi tratta cos&igrave; adesso, figuriamoci quando perderemo...&rdquo;. &ldquo;GP&rdquo;, come a Milton Keynes chiamano Gianpiero, sa che le vittorie non sono eterne, ma sa anche di lavorare con un pilota che sta riscrivendo completamente il libro dei record: 19 vittorie in un anno, una mitragliata di primati buttati gi&ugrave;. E&#39; stato pure l&#39;unico capace di andare in direzione ostinata e contraria a Liberty Media in uno degli ultimi GP, quello di Las Vegas. E&#39; un racer puro, Max: a lui non interessano fuffa e luccichio, lui vuole correre. E farlo, possibilmente, nei circuiti vecchio stile: quelli su cui si esalta.  &nbsp;  James Vowles    Era a capo del reparto strategico della Mercedes e ad osservare le mosse del muretto anglo-tedesco, forse, la sua mancanza si &egrave; avvertita. E&#39; sua la voce del famigerato audio &ldquo;Valtteri, it&#39;s James&rdquo;, ma bastano quei pochi secondi di comunicazione per capirne l&#39;autorit&agrave;: in Williams per il momento non possono che essere felici di averlo al vertice. Wolff, quando gli aveva dato il via libera per andare a Grove, lo aveva fatto a malincuore perch&eacute; se lo sarebbe tenuto volentieri in squadra, ma non poteva di certo negare ad un validissimo collaboratore un&#39;offerta significativa come quella del ruolo di team principal. I primi frutti li ha gi&agrave; raccolti: in Williams c&#39;&egrave; molto da ampliare a livello di mentalit&agrave;, strutture e personale, ma intanto la squadra ha chiuso al 7&deg; posto tra i Costruttori, miglior risultato delle ultime sei stagioni. 

Andiamo a scoprire nomi e volti di chi si &egrave; distinto nel corso del 2023, non necessariamente per meriti sportivi: nella stagione dominata da Verstappen, c&#39;&egrave; stato spazio pure per altre storie umane e professionali

F1 2023: le 10 personalit&agrave; dell&#39;anno

Mercoled&igrave; e gioved&igrave; scorsi si &egrave; svolta in due diversi momenti la tanto attesa McLaren &lsquo;Old Boys and Girls Association&rsquo; 60th Anniversary Reunion&rsquo;, ossia la festa di gala per il sessantesimo anno di vita della McLaren. Tutto era iniziato nel settembre 1963 sotto l&rsquo;egida e l&rsquo;entusiasmo di Bruce McLaren e l&rsquo;avventura prosegue in pieno giubileo, con le monoposto orange-papaya tornate a un ruolo di co-protagoniste nel mondiale e con la Casa pronta a toccare con successo il tasto della tradizione e dell&rsquo;orgoglio.  Chi c&#39;era alla festa McLaren  Tra i trecento invitati presso la prestigiosa sede dell&rsquo;Old Thorns Hotel &amp; Resort, tutti i personaggi che hanno segnato la storia recente e non della McLaren, primo fra tutti Ron Dennis, artefice del corso pi&ugrave; vincente negli Anni &rsquo;80 e &rsquo;90, pi&ugrave; il suo progettista feticcio John Barnard, l&rsquo;uomo che introdusse il telaio in carbonio e il cambio al volante in F.1.    Gli italiani presenti  Ovviamente tra i pi&ugrave; apprezzati anche Adrian Newey, a sua volta primattore della comunque fortunata stagione di inizio millennio, contrassegnata dalla prosecuzione della ventennale collaborazione con la Mercedes. Molto apprezzato anche il messicano Jo Ramirez, leggendarion team coordinator e il pluricampione del mondo Mika Hakkinen, vincitore per la Mclaren dei mondiali 1998 e 1999. Tra gli italiani invitati e presenti, Bruno Giacomelli, pilota ufficiale del team da fine 1977 e nel 1978, Emanuele Pirro, tester del favoloso team di fine Anni &rsquo;80, quello coi motori Honda e soprattutto Ayrton Senna e Alain Prost in squadra e quindi il tecnico Luca Furbatto, che proprio alla McLaren ha trascorso ben dodici dei suoi ventisette anni di militanza nella massima formula, ovvero dal 1999 al 2012. La cronaca dettagliata e i tutti particolari dello stuzzicante evento potrete gustarli sul prossimo numero cartaceo di Autosprint, in edicola marted&igrave;. 

Pirro, Giacomelli e Furbatto gli italiani presenti

La McLaren ha festeggiato 60 anni portati bene

Non tifo per nessuno, ma ho simpatie. E tanta per la McLaren. L&rsquo;unico top team che campa in affitto. Visto che il favoloso McLaren Technology Centre di Woking, nel Surrey, da 57.000 metri quadrati, inaugurato il 12 maggio 2004 - e premiato nel 2005 quale &ldquo;Best Automotive Architecture&rdquo; al 20&deg; Festival internazionale dell&rsquo;Automobile, col &ldquo;Royal Fine Art Commission Trust&rsquo;s Building of the Year Award&rdquo;, col &ldquo;BALI National Landscape Awards&rdquo;e lo &ldquo;Structural Steel Design Awards&rdquo; -, nel settembre 2020 per la crisi Covid-19 &egrave; stato messo in vendita e acquistato dalla Global Net Lease per 170 milioni di sterline, con la garanzia che lo lascer&agrave; in affitto agli orange-papaya per almeno venti anni. I quali per&ograve; non hanno n&eacute; casa n&eacute; mutuo, campando da semplici affittuari come Jerry Cal&agrave; nel film &ldquo;Vado a vivere da solo&rdquo;. E alla fine dello scorso anno hanno venduto per amor di contante perfino diversi pezzi della sontuosa collezione di monoposto da leggenda a uno dei dignitari dell&rsquo;azionista di maggioranza, il fondo bahrenita sovrano Mumtalakat, prima affiancatosi e poi subentrato ai maggior enti, appena terminata l&rsquo;era di Ron Dennis e del compianto Mansour Ojjeh, che fu traghettatore tra le due fasi. Ma non &egrave; tanto questo che sposta.  La pi&ugrave; amata dagli appassionati  Secondo me la cosa pi&ugrave; importante, come sempre accade, riguarda il capitale umano: attitudini e filosofia di base. La bella verit&agrave;? Se c&rsquo;&egrave; una squadra al centro dell&rsquo;attenzione nel Circus, amata da tutti gli appassionati molto pi&ugrave; che ai tempi magici di Ron Dennis e soprattutto stimatissima per la grande rimonta che ha saputo fare negli ultimi mesi, quella &egrave; proprio la McLaren. Certo, per il metodo di lavoro, la capacit&agrave; nell&rsquo;individuare i problemi, l&rsquo;onest&agrave; intellettuale d&rsquo;ammetterli, la caparbiet&agrave; e il coraggio nell&rsquo;intervenire con soluzioni radicali e infine la classe cristallina con cui gestire il salvataggio del progetto MCL60, quella che ha saputo essere quest&rsquo;anno la pi&ugrave; deludente monoposto d&rsquo;inizio mondiale (alla pari con la Ferrari SF-23) e poi, una volta scaravoltata, rifondata, riveduta e girata come un calzino, la pi&ugrave; sorprendente della seconda met&agrave; di campionato. Per&ograve;, vedete, dietro talento, sudore, illuminazioni, coraggio ed esprit de finesse, c&rsquo;&egrave; anche altro.    La &quot;luccicanza&quot; di Woking  Uno shining particolare a rendere ancor pi&ugrave; sfolgoranti i bellissimi colori ufficiali che gi&agrave; da soli predicano culto delle radici e piacere del ritorno alle origini, nonch&eacute; ossequio ai valori identitari. Una lucentezza unica che si estrinseca nello spirito del Team Principal Andrea Stella, il solo megaboss di top team capace di fendere longitudinalmente il paddock fermandosi a chiacchierare e a salutare amici, conoscenti o financo semplici curiosi, con una squisitezza semplice che dice tanto sul suo stile, quanto il cronometro e il pallottoliere dei punti Costruttori spiegano molto sulla sua capacit&agrave; di comando. Uno in grado di ristruttirare la squadra curando lateralmente una bellissima colonia di tecnici italiani, sparsi in tutti i settori nevralgici della sua squadra. E Lando Norris? Piaccia o non piaccia quando guida, giunto proprio ad Austin a quota cento Gran Premi disputati, &egrave; praticamente l&rsquo;unico che ha un sorriso per tutti e la voglia di piazzare una battuta, un frizzo, un lazzo a ogni domanda che gli viene posta, mai dimenticandosi di spegnere la luce che da sempre gli anima lo sguardo. Se il sottotesto d&rsquo;ironia era la filigrana dorata d&rsquo;ogni campione degli Anni &rsquo;60 e &rsquo;70, ora il gusto per il motto di spirito ben piazzato spetta soprattutto al lui. Oscar Piastri, meno flamboyant e forse tendenzialmente pi&ugrave; concreto, butta l&agrave; sorrisi timidi e ha nella secca e sorprendente spontaneit&agrave; del suo agire, in pista e fuori, la briscola pi&ugrave; alta. Portando senza problemi in giro la sua faccina pulita e determinata, accesa giustificatamente d&rsquo;autostima ma mai infarcita di crasso e pomposo autocompiacimento. Quanto al Ceo californiano Zak Brown, sempre fluviale, ciarliero e vulcanico, nei giorni scorsi a Barcellona s&rsquo;&egrave; tolto la pi&ugrave; grande soddisfazione della vita provando la McLaren MCL35, ovvero la F.1 del 2020, uscendone con un sorriso da orecchio a orecchio e quell&rsquo;adrenalina addosso che ti fa star sveglio per tre notti di fila. In fondo &egrave; stato pilota di F.3 britannica e tedesca prima di fare una puntata anche in Indy Lights, negli Anni &rsquo;90.  L&#39;accademia nella mani di Pirro  E per il futuro, Emanuele Pirro - di fresca nomina quale responsabile del rinnovato programma junior della McLaren per lo sviluppo di giovani talenti, che ora comprende anche i team di IndyCar e Formula E -, si tiene stretti i gioielli della sua accademia, tra i quali Ugo Ugochukwu, Gabriel Bortoleto, oltre a Ryo Hirakawa, Pato O&rsquo;Ward, Brando Badoer e la neoarrivata Bianca Bustamante. E c&rsquo;&egrave; dell&rsquo;altro. Rispetto ai vecchi tempi, la McLaren stessa da anni e anni &egrave; il solo team a correre - e a fare figuroni -, contemporaneamente in F.1 e nell&rsquo;IndyCar, peraltro senza disdegnare neanche la Formula E, a testimonianza di una vocazione ogniluogo e ognitempo, che ravviva il vanto di formare, assieme alla Mercedes, la coppia esclusiva di marchi a detenere la tripla corona dell&rsquo;automobilismo, avendo vinto in F.1 a Indy e a Le Mans. Ma non &egrave; tanto e solo questo il punto, perch&eacute; la polpa del discorso in realt&agrave; sta altrove. In F.1 la Red Bull vince quasi sempre ma non sorride, ghigna. Quando mostra i denti, lo fa perch&eacute; sta per mordere. In Mercedes hanno sempre riso poco e non lo fanno pi&ugrave; da fine 2021, logico capire perch&eacute;. In Ferrari, con le pressioni, i giochi e la politica che c&rsquo;&egrave; sempre stata, per carit&agrave; son tutti carichi dell&rsquo;orgoglio infinito d&rsquo;esserci, ma non se ne trova uno sereno e giulivo a partire dagli Anni &rsquo;30, da quando il Cavallino faceva correre le Alfa per Nuvolari. No, se vuoi trovare una squadra felice, aperta, soave e simpatica, in F.1 devi guardare alla McLaren.  La gioia di correre  Unica equipe che in questo momento sembra guardare alle corse, qualsiasi corsa cui partecipa, a prescindere dalla categoria e dal continente, come a un&rsquo;estrinsecazione della sua immensa gioia di vivere, di cui sono parte tutti i singoli componenti, a livello apicale e non solo. Strana, la vita. Se negli Anni &rsquo;80,&rsquo;90 e a inizio terzo millennio la McLaren di Ron Dennis, oltre che antagonista giurata e non sempre corretta della Ferrari, era nota per gli impeti totalitari e un tantino arroganti del suo dispotico timoniere, ora la faccenda s&rsquo;&egrave; evoluta in modo antipodalmente diverso e opposto, mostrando il lato dolce, suadente e morbido delle corse. Quello della felicit&agrave; d&rsquo;esserci e di godersi questa vita, portando un messaggio aperto, positivo e contagiosamente entusiasmante. Cos&igrave;, nell&rsquo;era delle squadre sotto pressione, ammusate, incarognite e tirchie di sorrisi, la pi&ugrave; amabile e simpatica &egrave; quella che - messasi alle spalle l&rsquo;antipatia di Dennis e la spy story - s&rsquo;&egrave; ricordata d&rsquo;essere un pilastro della F.1 pi&ugrave; rimpianta, riscoprendo se stessa. Very orange, come ai tempi del compianto Bruce, senza dimentcarsi d&rsquo;essere felice. 

Viaggio al centro della squadra pi&ugrave; simpatica e che contagia di felicit&agrave; chi la segue di tutto il Circus

Il segreto della McLaren? Essere felici. Divertirsi e sorridere

        Quello del Qatar &egrave; stato un week end molto proficuo per la McLaren, che conferma il suo eccezionale livello di competitivit&agrave; e si prepara al sorpasso in classifica Costruttori sull'Aston Martin. Ma non solo, perch&eacute; nel massacrante week end di Losail la scuderia britannica ha raggiunto e superato quota 500 podi in Formula 1. Una cifra che soltanto la Ferrari ha raggiunto in precedenza, e che ricorda quanto la McLaren sia stata una delle grandi protagoniste nella lunga storia della F1. Norris, ambizione terzo posto Ferrari: "Siamo fiduciosi quant'&egrave; giusto esserlo" McLaren, una lunga storia di successi Il primo podio della squadra della McLaren nel Mondiale l'ha ottenuto il neozelandese Denny Hulme, autore del secondo posto nel gran premio di Spagna del 1968. Da allora ce ne sono stati altri 500, firmati da piloti del calibro di Fittipaldi, Hunt, Watson, Lauda, Prost, Rosberg, Johansson, Senna, Berger, Hakkinen e Coulthard, oltre allo stesso Bruce McLaren, e fino ad arrivare in tempi recenti ai vari Raikkonen, Montoya, Alonso, Hamilton, Button, Ricciardo, Norris, Piastri e molti altri ancora. Oltre ai 501 podi, la Mclaren pu&ograve; vantare tanti altri numeri davvero invidiabili. A partire dai 12 Titoli Mondiali Piloti e dagli 8 Titoli Costruttori, passando per le 183 vittorie, le 156 pole position, i 163 giri veloci, per un totale di 6.208,5 punti. Numeri impressionanti, frutto di un impegno che dura dal 1966 e che ha portato McLaren a disputare ben 941 gare. Le squadre che hanno ottenuto pi&ugrave; podi in Formula 1 Ma come si posiziona la McLaren nella classifica dei team che hanno ottenuto pi&ugrave; podi nel corso della loro storia? In prima posizione, come spesso accade quando si parla di record di Formula 1, c'&egrave; la Ferrari, con ben 803 podi. La McLaren &egrave; seconda, staccata di poco pi&ugrave; di 300 lunghezze, a quota 501. Al terzo posto c'&egrave; invece un altro team dal grande passato ma dal presente appannato, la Williams, con 312 podi. Proseguendo la classifica, troviamo Mercedes (287 podi), Red Bull (258) e Lotus (172). Segue poi la Brabham, ferma a quota 124, seguita dalla Renault/Alpine (107), dalla Benetton (102) e dalla Tyrrell, che chiude la top 10 con i suoi 77 podi in Formula 1. Per quanto riguarda invece le altre squadre in attivit&agrave;, Alfa Romeo si piazza al 15&deg; posto di questa classifica con 26 podi (se invece si vuole considerare il dato di Sauber, i podi ottenuti sono 10), Aston Martin al 27&deg; con 12, poi Toro Rosso/AlphaTauri al 34&deg; posto con 5 podi. Ancora a secco di arrivi in top 3, invece, la Haas.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da Autosprint Official (@autosprintofficial)            

Grazie al risultato ottenuto da Piastri e Norris in Qatar, il team di Woking ha raggiunto quota 501 podi in Formula 1: ecco i team che ne hanno ottenuti di pi&ugrave;

McLaren oltre quota 500 podi in F1: ecco chi fa meglio

Campione del mondo al sabato? S&igrave;, possibile. Anzi, pi&ugrave; che probabile. L&#39;introduzione delle gare sprint porta con s&eacute; pi&ugrave; punti da assegnare e, in ultima analisi, la possibilit&agrave; di incoronare un campione del mondo gi&agrave; al sabato, prima di scendere in pista domenica. Max Verstappen ha questa occasione a Losail, nel fine settimana del GP del Qatar, durante il quale pu&ograve; laurearsi iridato per la terza volta non nella giornata di domenica: l&#39;esperto in questi casi &egrave; il padre della sua fidanzata Kelly, Nelson Piquet.   Per sei volte il nome del campione del mondo &egrave; stato decretato in una giornata che non fosse domenica: cinque volte di sabato ed uno di venerd&igrave;. E&#39; accaduto con Jack Brabham nel 1959, con Graham Hill nel 1962 e poi per tre volte consecutive dal 1981 al 1983, con Nelson Piquet (1981 e 1983) e Keke Rosberg (1982). Infine, di nuovo con Nelson Piquet nel 1987: il brasiliano, dunque, ha curiosamente conquistato tutti i suoi titoli in un giorno feriale.  &nbsp;  GP Usa 1959: Brabham campione nel giorno di Bruce McLaren  Il Gran Premio degli Stati Uniti 1959 si consegna alla storia per due motivi. Bruce McLaren vince per la prima volta una gara e diventa il pi&ugrave; giovane di sempre a riuscirci a soli 22 anni e 104 giorni: si dovr&agrave; attendere il 2003, con Fernando Alonso a Budapest, per festeggiare un vincitore ancora pi&ugrave; giovane (22 anni e 26 giorni nel caso di Nando). A Sebring 1959, per&ograve;, accade anche che Jack Brabham si laurea campione del mondo per la prima volta in carriera: gli &egrave; sufficiente un 4&deg; posto in quel 12 dicembre, che &egrave; un sabato. Dunque, alla sua decima edizione, la F1 saluta un campione del mondo incoronato non alla domenica.&nbsp;  &nbsp;  GP Sudafrica 1962: Hill e BRM campioni  Tre anni dopo Brabham, tocca a Graham Hill festeggiare un titolo al sabato.&nbsp;Il GP Sudafrica 1962 lo si corre sabato 29 dicembre e Graham Hill, favorito alla vigilia, si assicura il campionato vincendo gara e titolo nel giorno del ritiro di Jim Clark, suo avversario diretto. In quell&#39;occasione arriva anche il primo e unico titolo Costruttori nella storia della BRM.  &nbsp;  GP Las Vegas 1981: festeggia Piquet  Il 1981 &egrave; l&#39;anno in cui i due piloti Williams, Jones e Reutemann, si tolgono punti a vicenda ed alla fine vince Nelson Piquet. Il capitolo decisivo del mondiale &egrave; sul circuito cittadino di Las Vegas, alla prima apparizione in campionato. Si corre sabato 17 ottobre. Nel giorno in cui Reutemann, leader alla vigilia, &egrave; solo 8&deg; e dunque fuori dai punti per l&#39;epoca, al brasiliano basta un 5&deg; posto (2 punti) per assicurarsi il titolo nonostante la vittoria di Jones: sono 50 punti per Nelson, 49 per Reutemann e 46 per Jones, il quale era rimasto tagliato fuori dalla corsa iridata gi&agrave; prima dell&#39;epilogo di Las Vegas.  &nbsp;  GP Las Vegas 1982: Keke Rosberg nell&#39;anno nero per la Ferrari  Nel 1982 la Ferrari sembra poter fare un sol boccone degli avversari, ma &egrave; un anno tragico per il Cavallino: Villeneuve perde la vita a Zolder, Pironi rischia la vita con un incidente in Germania e ne esce con gambe e carriera distrutte. Ne esce un campionato molto livellato in cui alla fine a vincere &egrave; Keke Rosberg, iridato nonostante un unico successo di tappa in tutto l&#39;anno. Si corre a Las Vegas (&egrave; sabato 25 settembre) e come l&#39;anno prima il mondiale si decide sul cittadino americano: la corsa iridata contrappone Rosberg (Williams) e Watson (McLaren), con Niki Lauda &quot;sub judice&quot;: l&#39;austriaco, tornato in F1 proprio quell&#39;anno, &egrave; matematicamente fuori dai giochi ma potrebbe rientrare nel caso (poi non avvenuto) gli fosse stata tolta la squalifica al GP Belgio, quando fu terzo. Ma non serve: Alboreto va a vincere per la prima volta in carriera e Watson, 2&deg;, dice addio al titolo, che finisce nelle mani di un Rosberg ragioniere e 5&deg; alla fine.  &nbsp;  GP Sudafrica 1983: Piquet su Prost e Arnoux  A Kyalami, sabato 15 ottobre, a giocarsi il titolo sono in tre: Prost (Renault, 57 punti), Piquet (Brabham, 55) e Arnoux (Ferrari, 49). Piquet va in fuga nelle prime fasi, mentre Arnoux ha un problema al motore dopo pochi giri ed il suo sogno iridato &egrave; gi&agrave; finito. Poco prima della met&agrave; gara anche la Renault di Prost ha problemi al turbo, con Alain che &egrave; costretto a ritirarsi: Piquet a quel punto alza il piede per non stressare la vettura e si accontenta di un terzo posto che vuol dire titolo, alle spalle di Patrese e De Cesaris. E&#39; il primo titolo per un motore turbo.  &nbsp;  GP Giappone 1987: Piquet campione al venerd&igrave;  Il 1987 &egrave; appannaggio della Williams FW11B con cui Mansell e Piquet si giocano il mondiale, dominato di fronte ad un Ayrton Senna sempre pi&ugrave; concreto con la Lotus. Il penultimo appuntamento &egrave; un attesissimo GP del Giappone, con il debutto in F1 di Suzuka. Gli appassionati pregustano un grande spettacolo, ma restano delusi: Mansell &egrave; vittima di un incidente nelle libere e non pu&ograve; tornare alla guida della monoposto, per cui lascia il circuito nella giornata di venerd&igrave;, impossibilitato a prendere parte alla gara giapponese ed a quella successiva, in Australia. Per cui, Piquet diventa campione al venerd&igrave;, con due gare d&#39;anticipo. 

In sei occasioni, cinque di sabato e una di venerd&igrave;, la F1 ha incoronato il suo campione in una giornata diversa da domenica: pu&ograve; riuscirci Max Verstappen facendo altrettanto nella sprint di sabato, emulando, tra gli altri, il padre della sua fidanzata, Nelson Piquet

Verstappen campione al sabato? L&#39;esperto dei precedenti &egrave;... il suocero

        12:00 GP Italia, il live timing delle FP3 Dopo le prove libere del venerd&igrave; che hanno visto il ferrarista Carlos Sainz ottenere il miglior tempo di giornata, a Monza vanno in scena le FP3 che anticipano le qualifiche del pomeriggio: segui con noi il live timing e la diretta testuale delle prove libere 3. Prove Libere 3 enetpulse src=https://widget.enetscores.com/FWA3A1059A0D027493/ev/4028047/limit/39/lng/it Luogo: Autodromo di Monza  13:33 Sessione finita, Sainz di nuovo in testa Anche queste FP3 si chiudono con il miglior tempo del ferrarista spagnolo, primo nella classifica del sabato mattina davanti a Max Verstappen e Lewis Hamilton. Quarto Leclerc, che precede a sua volta&nbsp;Alonso, Russell, Magnussen e Hulkenberg. Chiudono la top 10 Albon e Perez. Attenzione per&ograve; a Sainz a cui &egrave; stata data bandiera bianco-nera per aver ostacolato Oscar Piastri alla Prima Variante.  29 and feelin' fine Sainz goes quickest in the final few minutes to back up his pace from Friday#ItalianGP #F1 pic.twitter.com/Qv9cHoAAU3 &mdash; Formula 1 (@F1) September 2, 2023     13:27 Sainz vola in testa, Leclerc sbaglia Nuovo cambio al vertice di queste FP3, con Carlos Sainz che ottiene il nuovo miglior crono con la Ferrari in 1:20.912. Migliora anche Leclerc che per&ograve; non conlude il suo tentativo a causa di un leggero fuoripista.  13:25 Bottas fa "rally" alla Ascari Lungo di Bottas con l'Alfa Romeo alla variante Ascari: il finlandese percorre un lungo ntratto ad alta velocit&agrave; sulla ghiaia prima di tornare in pista.  Finns are born to drive on gravel... just not at F1 circuits #ItalianGP #F1 pic.twitter.com/kBLoAwKQG0 &mdash; Formula 1 (@F1) September 2, 2023     13:23 Max torna in testa Non ci sta Verstappen a essere superato da Hamilton, e con un nuovo giro veloce l'olandese va a riprendersi la testa della classifica scendendo per soli due millesimi sotto il muro del minuto e 21 secondi. Intanto problemi per l'altra Red Bull di Perez: la monoposto del messicano &egrave; ferma ai box sui cavalletti.  13:19 Hamilton fa il nuovo miglior tempo Si migliora sensibilmente il britannico che conclude il suo giro in 1:21.453 e si mette davanti a tutti, staccando Verstappen di 2 decimi. Nel frattempo migliora anche l'altra Mercedes con Russell che si piazza terzo.  13:12 Fuoripista per Piastri Rischia grosso Oscar Piastri che esce di pista alla Variante della Roggia: fortunatamente, il pilota della McLaren riesce a rientrare in carreggiata senza urtare le barriere. Subito dopo, viene richiamato ai box per verificare l'integrit&agrave; della sua monoposto.  13:07 Albon vola al 2&deg; posto Ottima performance per il pilota della Williams che, con gomme medie, ottiene il secondo miglior tempo e si mette alle spalle del solo Verstappen. Intanto qualche difficolt&agrave; per il compagno dis quadra Sargeant che si rende protagonista di un piccolo fuoripista.  13:01 "Doppietta" Red Bull a met&agrave; sessione Archiviati i primi 30 minuti di queste FP3, Max Verstappen &egrave; il pi&ugrave; veloce con un tempo di 1:21.687, seguito a mezzo secondo dal compagno di squadra Perez. Seguono, con distacchi minori, Magnussen (a sorpresa terzo con la Haas), Hamilton, Sainz e Norris. Solo 10&deg; al momento Leclerc, che sembra patire un accentuato porpoising sulla sua SF-23.  12:49 McLaren celebra a Monza i suoi 60 anni In questo week end la scuderia inglese festeggia i suoi 60 anni rispolverando il suo logo originale, che raffigurava un kiwi, animale simbolo della Nuova Zelanda, patria di Bruce McLaren.  New addition to our car this weekend. In celebration of our 60th birthday, we'll be sporting our original crest at Monza. #ItalianGP  pic.twitter.com/rjClWMwAvt &mdash; McLaren (@McLarenF1) September 1, 2023     12:43 Hamilton lungo in curva 1 Piccolo errore per il pilota della Mercedes #44, che sbaglia leggermente la frenata ed &egrave; costretto a tagliare la Prima Variante.  A tricky start to the session for Hamilton, who runs wide at Turn 1But he gathers it up for the next lap and goes P3 #ItalianGP #F1 pic.twitter.com/5DacPdWcvB &mdash; Formula 1 (@F1) September 2, 2023     12:41 Verstappen scavalca tutti Il primato di Lando Norris dura per&ograve; poco: con un crono di 1:21.838 Max Verstappen vola in testa alla classifica dei tempi.  12:39 Norris subito il pi&ugrave; veloce Quando quasi tutti i piloti hanno concluso il loro primo tentativo, &egrave; Lando Norris il pi&ugrave; veloce con la McLaren con un tempo per&ograve; ancora alto, di 1:22.515: alle spalle del britannico Perez e Sainz. Sesto al momento Leclerc.  12:30 FP3, si parte! Semaforo verde a Monza per la terza e ultima sessione di libere del week end: anche stavolta i piloti avranno a disposizione 60 minuti.  12:24 L'omaggio dei team F.1 all'Italia Omaggi all'Italia, alle nostre tradizioni e ai colori della bandiera italiana: ecco come i team hanno celebrato il GP d'Italia e Monza con grafiche e poster.   12:17 Sainz il pi&ugrave; rapido del venerd&igrave; Dopo che al mattino il pilota pi&ugrave; veloce era stato Max Verstappen, nel pomeriggio si &egrave; imposto Carlos Sainz, che nel giorno del suo 29&deg; compleanno si &egrave; tolto la soddisfazione di portare a casa il miglior crono del venerd&igrave; monzese in 1:21.355. Alle sue spalle si &egrave; piazzato un ottimo Lando Norris, con Perez a muro alla Parabolica negli ultimi minuti della sessione, mentre Verstappem (penalizzato dal traffico) e Leclerc non hanno brillato nel giro secco. Leggi qui il resoconto completo delle FP2 di Monza.         

Terza e ultima sessione di prove libere a Monza: segui il nostro live timing e la diretta testuale delle FP3 del GP d'Italia

F1 LIVE GP Italia, segui le prove libere 3 in diretta

        Dall'altra parte del mondo c'&egrave; un popolo che, per cultura e tradizioni, non ha nel mondo delle corse a motore la sua principale vocazione. I neozelandesi sono un popolo di navigatori per predisposizione, e non potrebbe essere altrimenti per una nazione formata principalmente da due isole nel bel mezzo del Pacifico. Sono il popolo che ha dato il nome al frutto che oggi chiamiamo "kiwi", per la somiglianza con l'uccello simbolo del Paese, paffuto, marrone, peloso e non adatto al volo. E' la nazione del rugby per eccellenza, la Nuova Zelanda, con i loro All Blacks conosciuti in tutto il mondo, ma per fortuna da quelle parti c'&egrave; anche chi si &egrave; voltato verso il mondo delle corse, non fermandosi alla palla ovale o ai venti che fanno volare le barche dell'America's Cup. Laggi&ugrave;, c'&egrave; stato anche qualcuno che ha saputo scrivere una storia degna di questo nome tra le quattro ruote. Liam Lawson, il nuovo pilota dell'AlphaTauri,&nbsp;&egrave; solo l'ultimo di una stirpe di eletti, contenuta nel numero ma grande per la storia scritta.  Hulme e McLaren, il meglio dell'automobilismo neozelandese I neozelandesi sono stati anche un popolo iridato in F1, grazie a quel Denny Hulme che, nel 1967, con la Brabham, port&ograve; la bandiera della Nuova Zelanda sul tetto del mondo delle corse. L'"orso", come era chiamato per la sua statura ed il carattere burbero, non era stato per&ograve; il primo neozelandese a sbarcare nel Circus: il primo fu Bruce McLaren, un cognome che non ha bisogno di presentazioni. Bruce altro non &egrave; che il fondatore della McLaren, nata e sviluppatasi in Inghilterra e per questo inglese a tutti gli effetti, contrariamente al suo fondatore che invece veniva da Auckland. Bruce McLaren debutt&ograve; nel GP Monaco 1959, finendo subito a punti (5&deg;) con la Cooper, fondando la McLaren nel 1963 (ricorrono infatti quest'anno i 60 anni dalla fondazione, e non a caso l'attuale vettura di F1 si chiama MCL60) per poi portarla nel Circus tre anni pi&ugrave; tardi. Nel frattempo, nel GP Monaco 1965 aveva debuttato un altro "kiwi", Denny Hulme, che nel 1968, da campione del mondo in carica, passer&agrave; proprio alla McLaren al fianco di Bruce, per un equipaggio tutto neozelandese. I frutti della collaborazione si sarebbero visti subito: nel '68 la McLaren vinse tre GP (uno con Bruce a Spa, due con Denny a Monza e Mont-Tremblant) e nel corso degli anni crebbe sempre pi&ugrave;, anche dopo la tragica scomparsa del suo fondatore in un test a Goodwood con una vettura Can-Am, categoria nella quale McLaren fece incetta di titoli per cinque stagioni consecutive dal 1967 al 1971: due titoli andarono a Bruce McLaren, due a Denny Hulme ed uno a Peter Revson.  La prematura scomparsa di Bruce McLaren nel giugno del 1970 interruppe quello che era chiamato, dalla stampa specializzata, "The Bruce and Denny Show", perch&eacute; in Can-Am erano sempre e solo loro due a giocarsi il titolo anno dopo anno. Questa collaborazione trasformata in amicizia (in condizioni in cui l'agonismo avrebbe potuto prevalere, dal momento che Bruce McLaren, oltre a correre lui stesso, metteva a disposizione di Hulme una propria vettura nella sua scuderia, accettando a testa alta talvolta di essere battuto con il suo stesso materiale) dur&ograve; in qualche modo anche dopo la morte di Bruce, perch&eacute; Hulme rimase fedele alla scuderia McLaren fino al 1974, anno del suo ritiro, deciso anche in seguito alla scomparsa di Revson in un test a Kyalami; Hulme fece in tempo ad "accompagnare" la crescita della McLaren fino ai suoi primi due titoli iridati, arrivati proprio nel 1974, nel suo ultimo anno di attivit&agrave;: la squadra vinse il titolo Costruttori mentre Emerson Fittipaldi port&ograve; a casa il titolo Piloti.  Amon, veloce e sfortunato Quella tra Bruce McLaren e Denny Hulme &egrave; una storia nella storia dell'automobilismo neozelandese, che in quegli anni pot&eacute; annoverare tra le sue fila anche altri piloti. Detto di Anthony Shelly, al via solo ad Aintree 1962, sulla scia di McLaren ed oltre a Hulme sarebbero arrivati altri piloti, il pi&ugrave; famoso dei quali Chris Amon: dopo il debutto a Spa nel 1963, Amon ebbe una lunghissima carriera che lo avrebbe visto pilota velocissimo in varie categorie (come testimoniano le vittorie nella Formula Tasman o tra i Prototipi, con la vittoria alla 24 Ore di Le Mans del 1966 su Ford GT40 proprio in coppia con Bruce McLaren), compresa la F1, dove per&ograve; non &egrave; mai riuscito a vincere un GP. Nei suoi anni in Ferrari ebbe modo di lavorare con Mauro Forghieri, uno dei tanti a ritenere Amon uno dei piloti pi&ugrave; sfortunati di sempre, che avrebbe certamente meritato di portare a casa risultati maggiori nel Circus.  Gli altri, fino ad Hartley A difendere i colori della Nuova Zelanda arrivarono poi Howden Ganley (35 partenze tra il 1971 ed il 1974), Graham McRae (al via solo a Silverstone 1973), John Nicholson (anche per lui un solo GP all'attivo, quello di Silverstone 1975) e Mike Thackwell, in gara solo in Canada nel 1980 e nel 1984. Dopo Thackwell, si dovr&agrave; attendere pi&ugrave; di tre decenni per rivedere un "kiwi" al via: il merito &egrave; di Brendon Hartley, in F1 con Toro Rosso alla fine del 2017 e per tutto il 2018, ma soprattutto pluri-iridato nel WEC con Porsche e Toyota e tre volte vincitore della 24 Ore di Le Mans. Liam, &egrave; la tua occasione Ed oggi eccoci qui, con la storia neozelandese che ricomincia, a cinque anni dell'ultimo GP di Brendon Hartley. C'&egrave; Liam Lawson, a ricordare che in Nuova Zelanda sanno anche correre in automobile. Lo dice la loro storia, una storia ricca e lunga anche se frammentata. Curiosamente, Lawson correr&agrave; sull'AlphaTauri che &egrave; direttissima discendente della Toro Rosso che mise in macchina Hartley qualche anno fa. Non sa ancora per quanto correr&agrave;, Liam, nell'attesa che Daniel Ricciardo possa tornare in grado di prendere il volante. Fino ad allora, per Lawson sar&agrave; una grande occasione: la speranza &egrave; far s&igrave; che questa opportunit&agrave;, indipendentemente dalla durata, possa diventare decisiva per regalargli un posto in F1 nel pi&ugrave; immediato futuro. L'anno prossimo, in occasione dei 50 anni dell'ultima vittoria di un neozelandese in F1 (con Denny Hulme nel GP Argentina 1974), non sarebbe poi cos&igrave;' male se ci fosse qualcuno chiamato a raccoglierne il testimone.       

Liam Lawson &egrave; il decimo pilota neozelandese a correre in F1: prima di lui ci sono stati piloti illustri come Bruce McLaren, Denny Hulme e Chris Amon, con Hartley che a fine 2018 era stato l'ultimo di questa stirpe a prendere il via in un GP

Nuova Zelanda: con Lawson riparte la storia dei "kiwi"

In una Formula Uno che sta consegnando i record pi&ugrave; importanti a una Casa di bibite e la leadership ideale e lineare all&rsquo;ex teenager pi&ugrave; veloce del mondo, si avverte terribilmente impellente il bisogno di radici. Di nomi dal peso specifico importante e che profumano d&rsquo;epoche andate e struggente nostalgia. Per questo, in una massima categoria che cambia, che azzarda sempre pi&ugrave; le sprint race, che pratica il culto dell&rsquo;impeding e dei track limits, che vive di VSC e di astruse mescole, di decisioni degli steward e di indecisioni della FIA, delle stranezze di Liberty Media e delle giornate no della Ferrari, rivedere anche se per una manciata di giri iniziali una McLaren fare capolino in testa &egrave; stupendo.  La McLaren &egrave; viva  Perch&eacute; sa di continuit&agrave;, di resilenza, di gloria antica sposata al fascino moderno e post brufoloso di uno tra i ragazzi pi&ugrave; simpatici, spontanei e ironici della nuova generazione, ovvero Lando Norris, che sa essere velocissimo e intelligente ogni volta che apre bocca e a volte perfino per come sa star zitto. Accanto a lui niente male contemplare Oscar Piastri piazzare il garone della vita in F.1, dopo che per tutta la prima parte della stagione aveva pagato una MCL60 non proprio competitiva e tutta da evolvere e mettere a punto cammin facendo. Bene, non bastasse questo, adesso arriva anche un quarto posto che per ora salva la stagione dell&rsquo;australiano, grazie alle modifiche migliorative che mettono le ali ai piedi della sua monoposto arancione, non ancora parificandola ma se non altro avvicinandola a quella del compagno di squadra. In altre parole, c&rsquo;era una una bruciante sete di novit&agrave; e nuove storie nell&rsquo;aria e questo meraviglioso Gran Premio di Silverstone porta alla luce un nuovo possibile filone narrativo di una stagione che giunta a questo punto ha un disperato bisogno di volti, storie e sensazioni diverse dalle solite. Eppoi ne volete sapere un&rsquo;altra, di sporca verit&agrave;? A noi over cinquanta, vecchi invererati appassionati della Formula Uno che fu, sapere che la McLaren vive ancora e combatte insieme a noi &egrave; una di quelle cose che ci fa letteralmente impazzire di piacere, perch&eacute; &egrave; uno degli ultimi nomi che ci fanno ancora sentire giovani e cristallizzati a un eterno presente fatto di passione, di imprese, di gare, campioni e circuiti semplicemente da urlo.  La magia dello sport  Chiss&agrave;, forse dietro la McLaren, eterna damigella del mondiale, e della Williams che batte un colpo in un fine settimana come quello di Silverstone c&rsquo;&egrave; l&rsquo;anelito dell&rsquo;eternit&agrave; dello sport, un po&rsquo; come quando l&rsquo;Uruguay torna a giocare alla grande nel mondiale di calcio o un ciclista con la maglia della Bianchi va a vincere un tappone alpino per distacco. In fondo siam tutti dei maledetti romantici e aggrapparci alla Ferrari a volte non basta, visto che c&rsquo;&egrave; bisogno di sensazioni pi&ugrave; allargate e ampie, di carezze e ritorni di fiamma ulteriori e altri per darci l&rsquo;illusione di poter fermare il tempo e vivere in una specie di atmosfera sospesa da innamorati delle corse. E cos&igrave; domenica scorsa a farci commuovere diventano, quasi paradossalmente, i due nomi che nel passato ci dettero pi&ugrave; delusioni e tuffi al cuore, ovvero la McLaren, quella di Fitti e Hunt, del Watkins Glen e del Fuji, ovvero di Senna e Prost, pi&ugrave; la Williams, il cui avvento sanc&igrave; il tramonto definitivo della Ferrari del Drake. Questo &egrave;. In un presente cos&igrave; asettico, sciapo e incolore anche il flatus vocis di nomi evocativi sa far battere forte il cuore. Bruce McLaren, Teddy Mayer, Tyler Alexander, Ron Dennis, John Barnard, Malcolm Oastler, Gordon Murray, Steve Nichols, Adrian Newey, Jo Ramirez, Zak Brawn... Altro che vuoti nomi, sembra una hall of fame che sa di Gran Premi e corse toste, nonch&eacute; imprese mai dimenticate.  I meriti di Stella  A costoro si aggiunge il bravo Andrea Stella, che ha il merito infinito - e non &egrave; il solo - di essersi ricostruito una carriera importante in Gran Bretagna, laddove non &egrave; che in genere siano disposti a far ponti d&rsquo;oro a un italiano se non &egrave; bravo, meritevole e capace di incassare lezioni di vita prima ancora che lauti stipendi. E adesso rigustarsi quella prima frenata del Gp di Gran Bretagna 2023 cos&igrave; orange e quel podio talmente beneaugurante, &egrave; un inno inesausto all&rsquo;eterno tempo sospeso degli innamoramenti perenni, poich&eacute; noi vecchi appassionati, immedesimandoi in chi rischia davvero, da decenni esorcizziamo la malinconia della morte e la tristezza delle cose perdute. Per questo ci&ograve; che &egrave; accaduto a Silverstone acquista rilevanza dolce, struggente e maledettamente importante. Se la McLaren &egrave; ancora viva e punge, non tutto pu&ograve; essere perduto, nel mondo delle corse. Tantomeno il nostro anelito a continuare a vivere questa lunga storia d&rsquo;amore con i nomi e i momenti pi&ugrave; belli del Motorsport. 

Tornare a vedere una McLaren in testa e poi a podio con Norris d&agrave; sensazioni bellissime

Orange resurrection

        McLaren correr&agrave; i gran premi di Monaco e Spagna con una livrea molto speciale. Il team di Woking ha infatti deciso di celebrare in queste due gare la cosiddetta &ldquo;Triple Crown&rdquo;, la tripla corona, ovvero i successi in quelle che sono considerate le gare pi&ugrave; prestigiose del motorsport: la 500 Miglia di Indianapolis, la 24 Ore di Le Mans e il GP di Monaco di Formula 1. La livrea della MCL60 che guideranno Lando Norris e Oscar Piastri si ispira proprio alle McLaren che hanno ottenuto la vittoria in queste tre competizioni. Pirelli, a Monaco con le mescole pi&ugrave; morbide e la nuova gomma da bagnato  Livrea speciale ispirata alle "antenate" di successo La livrea realizzata dal team di Woking si compone di tre colori. Il primo, il tradizionale arancione &ldquo;papaya&rdquo;, &egrave; un omaggio alla McLaren M16C/D, vincitrice della 500 Miglia di Indianapolis nel 1974 con Johnny Rutherford. Il bianco ghiaccio invece &egrave; stato ripreso dalla McLaren MP4/2 di Formula 1, capace di vincere la gara nel Principato nel 1984 con Alain Prost. Infine, il nero nella parte frontale della vettura &egrave; un tributo alla McLaren F1 GTR che vinse la 24 Ore di Le Mans nel 1995 con l'equipaggio formato da JJ Lehto, Yannick Dalmas e Masanori Sekiya. Ma le iniziative del team britannico non si fermano qui: anche le vetture che prenderanno parte alla prossima 500 Miglia di Indy, il 28 maggio, sfoggeranno 4 diverse livree speciali. Brown: "Orgogliosi di celebrare la storia McLaren" &ldquo;Dopo aver raggiunto il pi&ugrave; grande risultato nel motorsport completando la Triple Crown, siamo orgogliosi di celebrare la ricca storia della McLaren Racing con una livrea speciale al Gran Premio di Monaco 2023. In linea con le celebrazioni del nostro 60&deg; anniversario e onorando l'eredit&agrave; di Bruce McLaren, la livrea unica rende omaggio alle tre vittorie che costituiscono il riconoscimento della Triple Crown" ha commentato Zak Brown, CEO di McLaren. Entusiasti anche i piloti: &ldquo;La McLaren ha un record impressionante a Monte Carlo e a livello personale aver vissuto un podio alla gara del 2021 &egrave; stato un grande onore&rdquo; ha commentato Lando Norris. &ldquo;La livrea Triple Crown &egrave; incredibile e non riesco a immaginare un modo migliore per vivere il mio primo Gran Premio di Monaco come pilota di Formula 1 con la McLaren&rdquo; ha aggiunto Oscar Piastri. Leclerc, mai a podio nella gara di casa: la maledizione da sfatare       

Il team di Woking correr&agrave; i prossimi due GP con una livrea ispirata alle monoposto che hanno vinto a Le Mans, Indianapolis e Montecarlo

McLaren, livrea speciale a Monaco e Spagna per celebrare la Triple Crown

Tra il sovrano del Regno Unito e la F.1 il legame appare plurigenerazionalmente e storicamente saldo. Il primo Gran Premio iridato della storia, in Gran Bretagna 1950, a Silverstone, si apre con Re Giorgio VI che passa in rivista tutti i piloti, pronti a partire dando il via anche a una nuova e pi&ugrave; matura alba dell&rsquo;automobilismo agonistico. Stringendo la mano alle tre effe, Fangio, Farina e Fagioli, tutto comincia e mai pi&ugrave; terminer&agrave;, arrivando felicemente ai giorni nostri. In quel momento il nipote Carlo ha un anno e mezzo d&rsquo;et&agrave; e, tempo pochi mesi, gi&agrave; comincer&agrave; a divertirsi con la sua prima automobilina. Presto seguiranno Aston Martin, Bentley, Roll Royce e quant&rsquo;altro, fino alla curiosit&agrave; per la Formula E. A certificare e celebrare una dichiarata passione per i motori, accanto a quelle pi&ugrave; protocollarmente consone per cricket, ippica e polo, che comunque non gli impediranno di passare alla storia come il sovrano pi&ugrave; entusiasticamente legato al mondo della F.1.   Una mini-midget tutta per lui!  Le corse gli piacciono, fin da baby, altroch&eacute;. Mentre impara a far di conto, mamma e pap&agrave;, ovvero la Regina Elisabetta e il Principe Filippo, gli regalano una vetturetta mini-midget realizzata negli Usa, con la quale si esercita nelle avite propriet&agrave;, al riparo da occhi indiscreti. Ben felice di sfogare una passionaccia pur consapevole che, per lignaggio ed esigenze di protezione, mai e poi mai potr&agrave; avere un futuro selvaggiamente racing.  Regina Elisabetta, cos&igrave; la Formula 1 saluta la sovrana inglese  Il piacere dei Gran Premi  Non importa, a lui le corse piacciono, fin solo da spettatore. La sua presenza, da quasi ventenne affascinato, al GP di Gran Bretagna 1968, accompagnato dall&rsquo;amato mentore Lord Mountbatten e dal Duca di Kent, fa il paio con quella di suo padre Filippo al Tourist Trophy dell&rsquo;Isola di Man 1967, quando non s&rsquo;&egrave; voluto perdere la sfida motociclistica pi&ugrave; epica tra Mike Hailwood e Giacomo Agostini, dando la mano a entrambi, giusto prima che s&rsquo;avviassero verso la leggenda. E con il Principe di Galles le cose stanno allo stesso modo. Carlo d&rsquo;Inghilterra a Brands Hatch &rsquo;68 s&rsquo;intrattiene con colui che stima pi&ugrave; di tutti, ovvero Graham Hill, e quindi in griglia di partenza parla con Jochen Rindt e anche con Chris Amon, prima che il neozelandese salga al volante della Ferrari, sotto gli occhi di Mauro Forghieri. E, al termine della gara, Carlo scende in campo nel cricket in chiave F.1. Come? Sfidando una valente selezione di piloti. Chi? Les Leston, Richard Attwood, Piers Courage, Jochen Rindt, Graham Hill, Pedro Rodriguez, Denny Hulme, Charles Lucas, Robin Widdows, Peter Proctor, Peter Jopp, Innes Ireland, Bruce McLaren, Chris Amon, Stirling Moss e Colin Chapman, che si misurano entusiasti con la real squadra di Lord Bradbourne, la quale include anche il Principe Carlo.    Continua a leggere l&#39;articolo completo sul nuovo numero di Autosprint in edicola, oppure clicca qui per la versione digitale! 

Frequentatore del paddock al GP di Gran Bretagna, amico e fan di Graham Hill. sostenitore&nbsp;di Lewis Hamilton.&nbsp;Il nuovo Re vanta addirittura un test privatissimo in Formula 2 e un parco macchine&nbsp;con delle storie tutte da scoprire...

Carlo III, sovrano regalmente racing

Sulla carta le candeline da spegnere sono 60 ma il volto di questa McLaren &egrave; pi&ugrave; giovane che mai. A presentare la nuova MCL60 &egrave; il CEO Zak Brown, insieme al nuovo team principal Andrea Stella e alla nuova line up di Woking: il veterano Lando Norris e il debuttante Oscar Piastri.  Il Mondiale di Formula 1 2023 sar&agrave; estremamente importante per la Scuderia visto che si festeggiano i 60 anni della fondazione: era il 1963 quando Bruce McLaren form&ograve; per la prima volta la McLaren Racing. E la nuova Papaya non poteva non omaggiare questo storico traguardo anche nel nome: MCL60 appunto. &quot;Essere uno dei team pi&ugrave; longevi sulla griglia di Formula 1 e celebrare il nostro 60&deg; anniversario come squadra corse &egrave; un risultato eccellente. Questo &egrave; l&#39;inizio di diverse commemorazioni che saranno esposte durante tutto l&#39;anno&quot;, ha detto Brown.    Sotto la bandiera della Papaya  Per non tradire le aspettative altissime e non rovinare l&#39;anno leggendario che la McLaren si appresta a celebrare, il&nbsp;team di Woking riparte dalla buona base messa nel 2022, e dalla voglia di riscossa per ottenere pi&ugrave; punti possibili. Tutto &egrave; nella mani di Norris e Piastri, una scommessa &quot;pesante&quot; vista la sostituzione con Ricciardo.  &ldquo;Siamo lieti di lanciare il nostro team di Formula 1 2023 con Lando e Oscar: la formazione di piloti di quest&#39;anno &egrave; estremamente entusiasmante poich&eacute; Lando, un pilota intelligente e fiducioso con un ritmo eccellente, sar&agrave; affiancato da uno dei pi&ugrave; grandi talenti emergenti nel motorsport, Oscar.  Il 2022 &egrave; stata una stagione impegnativa nel nostro continuo sforzo per spingerci verso la parte alta della classifica. Abbiamo imparato molto durante la stagione e l&#39;intero team ha lavorato duramente per prepararsi a un altro anno. Sotto la guida di Andrea Stella, che &egrave; il nuovo Team Principal dallo scorso dicembre, abbiamo un team eccellente per la stagione 2023 e non vediamo l&#39;ora di vedere i nostri giovani piloti continuare a crescere come coppia durante tutta la prossima stagione.  Siamo entusiasti di celebrare questi 60 anni molto significativi con il nostro fantastico gruppo di partner e con i nostri tifosi: il loro supporto e il loro tifo sono parte integrante del viaggio verso il raggiungimento delle nostre ambizioni. Puntiamo sempre a ottenere il miglior risultato possibile in ogni weekend di Gran Premio e ringraziamo quei sostenitori che continuano a sventolare la bandiera della Papaya. Ora non vediamo l&#39;ora di tornare in pista in Bahrain. Sar&agrave; fantastico vedere la MCL60 in azione prima della stagione 2023. Andiamo a correre!&quot;  &nbsp; 

Il CEO del team di Woking presenta la sua nuova line up e anche la nuova Papaya per il Mondiale F1 2023: sar&agrave; una stagione speciale visto il 60&deg; anniversario dalla fodazione della scuderia

McLaren MCL60, Brown: &quot;Con Norris e Piastri sar&agrave; un 2023 eccellente&quot;

Quando ha cominciato a lavorare alla McLaren, probabilmente, Andrea Stella non si immaginava che un giorno sarebbe diventato team principal. Invece oggi, all&#39;alba della sua nona stagione a Woking, &egrave; proprio l&#39;ex ingegnere della Ferrari a guidare la squadra britannica nel 60&deg; anno di vita della scuderia fondata da Bruce McLaren. La speranza &egrave; quella di onorare al meglio questa ricorrenza con la nuova MCL60,&nbsp;che verr&agrave; portata in gara da Lando Norris e da Oscar Piastri.    Realisti negli obiettivi a breve termine  In occasione della presentazione della nuova nata, Stella ha detto: &quot;E&#39; un onore guidare la McLaren nella stagione del 60&deg; anniversario del team. Abbiamo un gruppo di persone impegnate e di talento alla McLaren e non vediamo l&#39;ora di portare la MCL60 in gara, dopo il duro lavoro e gli sforzi degli ultimi mesi, in tutte le aree del team. Nel periodo lontano dalle corse siamo stati felici di accogliere Oscar al McLaren Technology Center e abbiamo lavorato insieme per costruire solide relazioni e perch&eacute; fosse completamente preparato per l&#39;inizio della sua carriera in Formula 1. Si &egrave; rapidamente integrato nel team ed ha guadagnato molto rispetto grazie alla sua umilt&agrave;, intelligenza e dedizione. E&#39; stato bello anche riprendere il lavoro con Lando, che ora sta mostrando le qualit&agrave; di un leader mentre sostiene il cammino della squadra.   Lando e Oscar formano una formazione di piloti cos&igrave; forte e di talento e non vediamo l&#39;ora che arrivi la stagione 2023 con loro al volante della MCL60. Insieme ai nostri colleghi di Mercedes HPP, possiamo essere molto orgogliosi della stretta collaborazione nella realizzazione della MCL60 e degli sforzi congiunti per cercare di risalire la griglia. Siamo consapevoli di avere del lavoro da fare mentre entriamo nella stagione 2023, ma tutti nel team sono totalmente concentrati e impegnati a rendere speciale il nostro 60&deg; anniversario&quot;.   Sugli obiettivi del team, Stella ha detto: &quot;La pi&ugrave; grande sfida sar&agrave; crescere come squadra, dobbiamo risalire la griglia e possiamo farlo, dobbiamo lavorare uniti, elevare gli standard interni e focalizzarci sulla performance interna. Siamo realisti sulle aspettative nel breve termine, vedremo a che punto saremo nei test in Bahrain e soprattutto alla prima gara. Indipendentemente da questo, abbiamo degli sviluppi in cantiere e rimaniamo ottimisti per la stagione che ci aspetta&quot;.   

In occasione della presentazione della McLaren MCL60 il nuovo team principal ha parlato degli obiettivi per la stagione 2023, anno nel quale la squadra deve continuare a crescere con molto realismo in termini di risultati

Stella e gli obiettivi: &quot;Crescere come squadra e risalire la classifica&quot;

        Inizia gi&agrave; dalla presentazione della nuova McLaren la marcatura stretta tra due squadre inglesi attese in lotta nelle posizioni alte di met&agrave; schieramento. Aston Martin e McLaren presenteranno le nuove monoposto nella giornata del 13 febbraio, a distanza di poche ore l'una dall'altra. L'appuntamento &egrave; con la McLaren MCL60, a Woking, alle 18:00 ora italiana, mentre un paio di ore pi&ugrave; tardi sar&agrave; a Silverstone che Aston sveler&agrave; la AMR23. Da MCL37 a MCL60 C'&egrave; una novit&agrave; nella sigla scelta da McLaren per il progetto 2023. Diversamente dalla progressione naturale, che avrebbe dovuto portare quest'anno alla MCL38, si &egrave; scelto di battezzare la macchina con la sigla MCL60. Il 2023 &egrave; l'anno dei festeggiamenti, dei 60 anni di storia dalla fondazione del team da parte di Bruce McLaren. Correva l'anno 1963 e il pilota-ingegnere "kiwi", neozelandese, fece muovere i primi passi alla scuderia con progetti di vetture sport, per poi affiancare l'impegno in Formula 1 e con un progetto firmato direttamente McLaren. Alla storia nata nel 1963 render&agrave; omaggio la monoposto chiamata a riportare la scuderia vicina ai top team, dopo un campionato difficile e in arretramento nelle prestazioni rispetto ai 12 mesi precedenti. La presentazione della MCL60 verr&agrave; trasmessa sul canale YouTube della scuderia e sar&agrave; possibile seguire gli aggiornamenti in tempo reale sulle pagine di Autosprint.       

Nel 2023 il team festeggia un importante anniversario, che d&agrave; la sigla alla monoposto. Ecco quando verr&agrave; presentata la McLaren MCL60 e come seguire l'evento

Presentazione McLaren MCL60 in diretta, ecco come seguirla

Evis The Pelvis, una Sport Elva-Maserati cattivissima, lanciata a tutta nel deserto del Nevada, e dietro una pletora di bolidi pronti a tutto, pur di acciuffarla. Si pu&ograve; forse immaginare qualcosa pi&ugrave; eccitante di questo? Quasi 60 anni prima della F.1 che si appresta a tornare a Las Vegas nel 2023, la capitale del gioco d&rsquo;azzardo legava simpaticamente il suo nome alle corse automobilistiche in un film tutto da riscoprire, intitolato appunto &ldquo;Viva Las Vegas&rdquo;, uscito in sala nel 1964. La Can-Am era ancora di l&agrave; da venire, visto che la prima stagione ufficiale sarebbe stata disputata due anni dopo l&rsquo;uscita del film, ovvero nel 1966, tra l&rsquo;altro correndo davvero anche a Las Vegas, con una gara denominata romanticamente &ldquo;Stardust Gp&rdquo;, ovvero il Gran Premio Polvere di Stelle, ma questa &egrave;&nbsp;un&rsquo;altra storia.    Nel 1964 le biposto Sport sugli stradali a Stelle e Strisce correvano nella serie siglata semplicemente USRRC, che presentava al via un discreto mucchio selvaggio di bolidi in assetto corsa, anche se la gara cinematograficamente narrata in cui compete Elvis rappresenta in realt&agrave;&nbsp;un miscuglio libero e piuttosto esotico di vetture di concezione assai diversa, messe su strada a sfidarsi all&rsquo;insegna del &ldquo;tutte insieme compatibilmente&rdquo;.  Dal casin&ograve; alla pista  E la memoria torna appunto a questa pellicola coloratissima, un filo ingenua ma simpatica e interessante, che vede l&rsquo;immenso Elvis Presley negli scomodi e trafelatissimi panni di Lucky Jackson, pilota da corsa il quale in mancanza di sponsor e ganci dal cielo &egrave; costretto a tentare la fortuna al casin&ograve;. Peraltro mostrando una certa fortuna, visto che fa sua una sommetta con la quale sar&agrave; in grado di acquistare un fiammante e potentissimo motore per cercare di vincere il Gp di Las Vegas al quale &egrave; iscritto. Tuttavia in un parapiglia in piscina con Rusty - una strepitosa Ann Margret -, avviene l&#39;inopinato smarrimento del denaro. Cosa che obbliga il povero Elvis, a questo punto Lucky per modo di dire, a fare il cameriere nell&#39;hotel al solo scopo di riuscire a pagare il conto.  Siamo per&ograve; all&rsquo;interno della pi&ugrave; classica e rosa delle commedie romantico-musicali all&#39;americana e prima o poi tutto s&rsquo;aggiusta. Tanto che il provvidenziale arrivo del padre della sfolgorante Rusty Martin (ovvero l&#39;attore William Demarest) aggiusta tutto, poic&eacute; il futuro suocero si metter&agrave; di buon grado a prestare il danaro a Lucky per l&#39;acquisto del poderoso motore Maserati, permettendo cos&igrave; al ragazzo praticamente in un sol colpo di presentarsi al via, lottare alla grande e vincere la corsa, sposando la ragazza. Meglio di cos&igrave;...  &nbsp;  Successo e retroscena del film  In realt&agrave; le riprese cominciarono il 15 luglio 1963 e terminarono il 16 settembre dello stesso anno e le spettacolari scene racing vennero girate senza sonoro, salvo inserire in post-produzione ben 43 effetti speciali audio. Con 4 milioni e 675.000 dollari, per il 1964 il film si piazz&ograve; 14esimo nella classifica degli incassi, centrando l&rsquo;obiettivo di piacere non solo ai pur tantissimi fans di Elvis. In ogni caso fu quello primo lm di &ldquo;The Pelvis from Memphis&rdquo; ad essere distribuito prima all&rsquo;estero (Oriente ed Europa) e poi negli Stati Uniti. A Gozo, isola facente parte di Malta, il film venne bandito in quanto giudicato indecente dalle autorit&agrave; ecclesiastiche locali, anche se di sexy e bene in vista ci sono solo le forme della Elva-Maserati di Presley. Tra l&rsquo;altro Elvis e Ann Margret restano noti per una turbinosa storia d&rsquo;amore che li vede legati per anni e anni, ben oltre le vicende narrate sul set.  Bloopers e incongruenze  Certo, se si va per il sottile, a ben guardare le incongruenze non mancano. Tanto per fare un esempio, in gara c&rsquo;&egrave; una stupenda Jaguar XK 120 di colore nero che va praticamente a sbattere per prima contro le barriere, in una curva sinistrorsa, tirando una centra mica da ridere, eppure poco dopo la si vede ancora in gara, perfettamente inurtata, che provvede a spedire fuori con un&rsquo;aggressivit&agrave;&nbsp;fuori da ogni regola un bel po&rsquo; di auto rivali... D&rsquo;altronde il film &egrave;&nbsp;divertimento puro e non ha ambizioni di raccontare una competizione in modo credibile e strutturato, quindi il tutto va preso per gioco e sospendendo deliziosamente l&rsquo;incredulit&agrave;, anche perch&eacute; un po&rsquo; di sostanza comunque c&rsquo;&egrave;.    Ma proseguiamo con le cose strane. A un certo punto Elvis nei panni, anzi, nella tuta di Lucky, si fa largo nel gruppone per andare a prendere il momentaneo leader della corsa, ovvero l&rsquo;antipatico conte Elmo Mancini - impersonato dall&rsquo;attore italiano e residente negli USA Cesare Danova -, al volante della Ferrari 250 GT, scambiandosi pi&ugrave;&nbsp;volte di posizione. Tuttavia a un bel momento la Rossa del nobiluomo dechappa una gomma e va a sbattere, ma, incredibilmente, nella pellicola si vede poco dopo lo stesso Lucky ancora una volta mettersi a rimontare per passare tutte le macchine che ha gi&agrave;&nbsp;superato e riprendere la leadership, infilando pure la gi&agrave;&nbsp;sbattuta e rediva Ferrari del conte medesimo.  Infine, Elvis Presley alias Lucky dice d&rsquo;essere un fiero pilota costruttore, proprio mentre gente come Jack Brabham e Bruce McLaren muoveva davvero i primi passi, facendo lo stesso ma nella realt&agrave;. Il problema &egrave; che la Elva &egrave; una macchina inglese e ha quindi lo sterzo dal lato destro, mentre se Lucky avesse costruito davvero la sua macchina, avrebbe posto lo sterzo a sinistra, esattamente come tutte le macchine americane...  &nbsp;  Una gioia di colori e atmosfere  In ogni caso non vale la pena di soffermarsi troppo sui conti che non tornano, perch&eacute; gli aspetti carini e positivi del lm sopravanzano di gran lunga imperfezioni e incongruenze. Le scene di notte della Strip e della Downtown Las Vegas risplendono dei colori meravigliosi dell&rsquo;early-sixties Technicolor e anche il sonoro della corsa resta a tutt&rsquo;oggi una bella collezione di ruggiti pluricilindrici, a latrare come se non ci fosse un domani. Di pi&ugrave;: la verit&agrave; &egrave; che, accanto a Elvis Presley, le vere co-star del film sono le macchine da corsa ritratte.  Quella Ferrari da urlo  La vera e inarrivabile primadonna del film &egrave; proprio la Elva Mark VI, prodotta in Inghilterra nella seconda met&agrave; degli Anni &rsquo;50. Leggerissima, telaio tubolare, sospensioni a quattro ruote indipendenti, ammortizzatori telescopici e un tostissimo propulsore Maserati coperto da una carrozzeria in fibra di vetro. Poi ci sono le ruote da 15 pollici a dare quel tocco d&rsquo;eleganza cattiva in pi&ugrave;. Per&ograve;, attenzione, perch&eacute; l&rsquo;auto del conte Mancini, non un cattivone in senso stretto, ma comunque il rivale di Elvis, non ha niente da invidiare all&rsquo;Elva, anzi a suo modo rappresenta una belva di classe sopraffina e splendente.    La Ferrari 250 GT Berlinetta Tour de France long wheelbase coup&eacute;, che adesso pu&ograve; essere acquistata a una cifra con la quale si acquisterebbe l&rsquo;Alaska, &egrave; uno dei 77 esemplari prodotti e meravigliosamente confezionati per il Drake dal grande Scaglietti, basatosi su disegni Pininfarina. &Egrave; mossa da un motore 3.0 litri V12 progettato da Gioachino Colombo per esprimere non meno di duecentocinquanta cavalli e col suo colore Rosso Corsa sprigiona il fascino delle opere d&rsquo;arte classiche.  Parco macchine indimenticabile  Ma non ci fermiamo certo qui, perch&eacute; a colpire l&rsquo;attenzione ci sono anche altre muscolose feline a far parte del gruppone degli avversari. Tra queste nelle varie fasi di corsa &egrave; agevole riconoscere una Shelby Cobra 260, quindi delle Corvette C2, senza trascurare Jaguar XK120, Mercedes 300SL. Insomma, una specie di paradiso terrestre per il collezionista sopraffino e anche per l&rsquo;appassionato pi&ugrave; nostalgico.  &nbsp;  Una gara rutilante, pure troppo  Le stesse scene di gara sono molto spettacolari, anche se un tantino esagerate. Tanto che gli incidenti mostrati sembrano pi&ugrave; da cartone animato che da corsa vera e propria, ma non importa, perch&eacute; quel che conta &egrave; lo spettacolo. E in ogni caso vedere la Elva MkVI che combatte senza requie contro la Ferrari in pieno deserto resta pur sempre uno show di primo ordine, anche se &ldquo;Viva Las Vegas&rdquo; &egrave; certamente un goffo dinosauro se confrontato agli effetti speciali e al pathos di recenti film in ambientazioni e contesti puramente racing.  La storia di quella Elva  Nel film in verit&agrave; la Elva ha un nome originale e tutto suo, ossia &ldquo;Vinegaroon&rdquo; proprio perch&eacute; teoricamente e narrativamente frutto dell&rsquo;ingegno di Elvis Presley, ovvero del giovane e intraprendente pilota-costruttore Lucky. In realt&agrave; si tratta di una vera e propria macchina da corsa, in grado d&rsquo;avere una sua reale carriera racing nella vita di tutti i giorni. Con essa, infatti, il pilota Bill Krause aveva corso per la squadra schierata da Harry Finer, l&rsquo;importatore per la Costa Ovest degli Stati Uniti, con sede a Beverly Hills. Finer aveva appunto acquistato una Elva Mk6 ordinando ai suoi meccanici di installarci un motore 2.9- litri 4 cilindri Tipo 61, ovvero il propulsore tipico della celeberrima Maserati.    In linea del tutto ideale, una combinazione davvero interessante, ma in pratica un mix totalmente non amalgamabile e foriero di problemi e risultati poco meno che disastrosi. Per esempio, il povero Krause si ritrova a doversi ritirare senza riuscire a percorrere neanche un giro nella gara di consolazione del pur ricco Riverside Times Gp nel 1962, a causa di irrisolvibili problemi alla trasmissione. E questo &egrave; niente. Una settimana pi&ugrave; tardi lo stesso Krause a Laguna Seca neanche riesce ad ottenere la qualificazione, mancando l&rsquo;ammissione allo schieramento di partenza per un secondo secco. Dopo riscontri cos&igrave; sconfortanti, la sfortunata vettura viene senz&rsquo;altro venduta nel 1963 a Dan Blocker, la cui crew di esperti non riesce a cavare un ragno dal buco, malgrado gli sforzi del pilota designato Bob Harris. Cos&igrave;, dopo due stagioni di fallimenti, giusto perch&eacute;, a vederla, la Elva &egrave; bella da paura, finisce nel mirino della produzione del film &ldquo;Viva Las vegas&rdquo; e il resto &egrave; storia.  &nbsp;  In realt&agrave; sono due le Elva del film!  Eppure, a ben guardare, qualche retroscena svela particolari piuttosto stuzzicanti. In effetti, le Elva utilizzate nelle riprese di &ldquo;Viva Las Vegas&rdquo; in realt&agrave; sono due. Tutte le scene degli interni nel garage di Elvis vengono girate utilizzando la Elva-Maserati di Dan Blocker peraltro mostrata senza motore (visto che il pilota Lucky non ha pi&ugrave;&nbsp;i dollari per permetterselo) mentre per le scene di corsa viene messa su strada un&rsquo;Elva in configurazione standard, ossia dotata di motore Coventry-Climax, ovviamente colorata tale e quale a &lsquo;Vinegaroon&rdquo;. In realt&agrave;, quando la Elva-Maserati viene venduta alla produzione, c&rsquo;&egrave; un problema di distribuzione al motore a renderla una belva non pi&ugrave; in grado di muoversi ma, anche se non sono previste scene di corsa vere e proprie, il propulsore Maserati viene riparato e il Tipo 61 pu&ograve;&nbsp;tornare a ruggire, esprimendo una potenza tra i 280 e i 290 cavalli.  Cosa resta del film  Al giorno d&rsquo;oggi, il film &ldquo;Viva Las Vegas&rdquo;, quindicesima pellicola con Elvis Presley come protagonista, tra l&rsquo;altro in una fase assolutamente fatata della sua carriera, viene ricordata come un piccolo classico dai fans di &ldquo;The Pelvis&rdquo;, il quale a sua volta era un buon appassionato di macchine sportive. Tanto da sottoporsi di buon grado al ruolo di pilota, pur non rinunciando a mostrarsi inarrivabile anche come cantante nelle scene musicali, con la sua hit intitolata tale e quale al film, dotata di un ritornello orecchiabile e a suo modo mitico quanto nostalgico. &ldquo;Viva Las Vegas&rdquo;, quindi, &egrave; anche una canzone composta da Doc Pomus e Mort Shuman e interpretata da Elvis Presley. Registrata nel 1963, venne inclusa l&rsquo;anno dopo nella colonna sonora del film omonimo con Presley come protagonista, e incisa come b-side del singolo-cover di &ldquo;What&rsquo;d I Say&rdquo;.    Bello anche il destino delle due Elva del film, che a tutt&rsquo;oggi svolgono il ruolo di protagoniste e puntuali star in vari Concorsi d&rsquo;Eleganza sparsi per l&rsquo;America. Stranamente, poi, l&rsquo;Elva-Maserati cos&igrave; sfortunata nella vita reale, adesso gode di fama immortale e dell&rsquo;affetto imperituro degli appassionati per avere ottenuto una vittoria accreditata in una gara che non ha corso neppure sulla scena fittizia delfilm. Perch&eacute; certe volte, proprio come si diceva nel film &ldquo;L&rsquo;uomo che uccise Liberty Valance&rdquo;, tra la realt&agrave;&nbsp;e la leggenda, noi tutti preferiamo senz&rsquo;altro quest&rsquo;ultima. 

Il re del rock &egrave; il primo vincitore mondialmente applaudito e riconosciuto di un GP sulle strade della capitale del gioco d&#39;azzardo: avviene nel 1964, nel film in cui &quot;The Pelvis&quot; sfoggia una Elva KKVI motorizzata Maserati

&quot;Viva Las Vegas!&quot;, quando a vincere era Elvis Presley

Finalmente emergono i risultati del sondaggio globale commissionato da Liberty Media, ovvero dall&rsquo;entit&agrave; che controlla e gestisce la F.1, effettuato sui tifosi della disciplina in collaborazione con la Nielsen, per intercettare opinioni, orientamenti e gusti dei fan della Formula Uno in tutto il mondo. Il sondaggio stesso si configura come il pi&ugrave; vasto mai effettuato, operando attraverso il sito web Motorsport Network Motorsport.com in 15 lingue e ricevendo il feedback di 167.000 fan in 187 Paesi.  La cosa buffa &egrave; che dal punto di vista ufficiale la valutazione viene fatta enfatizzando dati e assodati assolutamente irrilevanti e cercando invece di nascondere quelli importanti, secchi, inappellabili e tali da fornire indicazioni assolutamente ineludibili e peraltro molto negative rispetto agli orientamenti di recente introdotti.  Le ovviet&agrave; del sondaggio  Ma andiamo con ordine. I risultati del 2021 F.1 Global Fan Survey rivelano, tanto per cominciare, che la Formula Uno &egrave; considerata dal 90% degli intervistati l&rsquo;apice del motorsport. Favoloso. Ecclestone e Mosley ci hanno messo trent&rsquo;anni per ammazzare qualsiasi altra categoria e adesso finalmente il mondo ne prende atto. Geniale. Roba da tirare i coriandoli dagli elicotteri. Ma andiamo avanti. Tra i fan intervistati, l&rsquo;attributo numero 1 del marchio F.1 &egrave; &ldquo;eccitante&rdquo; - con altri apprezzamenti top del marchio tra cui &ldquo;tecnologico&rdquo;, &ldquo;costoso&rdquo;, &ldquo;competitivo&rdquo; e &ldquo;divertente&rdquo;. Ci manca solo di aggiungere Wow, fico e togo e poi il dibattito impazza, toccando vette da dialettica di Schopenauer. Porco Giuda, ma fatevi una cura di fosforo, che poi articolate meglio, va&rsquo;. Cio&egrave;, questi sono due dei punti che suscitano molto entusiasmo nei committenti del riscontro globale e proprio non si capisce perch&eacute;. Ma ancora &egrave; niente. Infatti il 91% dei fan della F.1 esprime una squadra preferita, il 94% un pilota preferito.  I numeri che non tornano  In particolare, la McLaren dopo il trionfo di Monza vive un momento magico e nel sondaggio figura essere addirittura la squadra n.1, ovvero la pi&ugrave; popolare, seguita da Red Bull, Ferrari e Mercedes.  Ecco, questa se valutata come una realt&agrave; tendenziale e istantanea &egrave; una cosa giustissima, non a caso la squadra fondata dal compianto Bruce a oggi &egrave; senz&rsquo;altro la rivelazione del mondiale 2021. Per&ograve; se la prendiamo come una verit&agrave; scientifica, solida, stabile ed epistemica, il discorso cambia e siamo di fronte a un&rsquo;altra sonora panzana. Okay, il team orange-papaya pu&ograve; piacere, &egrave; simpatico, resta caratterizzato da Ricciardo che ride sempre e se vince beve da una scarpa, pi&ugrave; da Lando Norris che &egrave; giovanissimo, ironico e ultraveloce oltre che decisamente accattivante, tanto da essere non a caso il pi&ugrave; quotato tra le tifose di sesso femminile issandosi il n.2 tra i pi&ugrave; popolari. Ma da qui a dire o sostenere che la squadra del fondo sovrano bahrenita &egrave; la pi&ugrave; amata, popolare e seguita sulla scena &egrave; sparare una cavolata bella e buona, perch&eacute; mai e poi mai per cultura, storia, heritage e leggenda, McLaren, Red Bull e la stessa Mercedes potranno mai avvicinarsi all&rsquo;appeal, alla consistenza e alla solida compenetrazione della Ferrari a livello mondiale, a tutti i livelli. Certe domande, in altre parole, non andrebbero neanche poste, perch&eacute; hanno una risposta scontata. E, se la si elude, automaticamente si finisce col dire altro e rimestare in concetti che non hanno nulla di attendibile Ma c&rsquo;&egrave; ben altro, ovvio.  Il Granpremietto non piace  Poco da dire sul fatto che secondo lo stesso sondaggio a oggi Max Verstappen &egrave; il pilota n. 1, tra i fan di et&agrave; 25-34 anni, mentre Lewis Hamilton &egrave; il n. 3, dietro a Norris. Capita. Roba che va e viene. E che non sposta niente. Quanto alle gare preferite tra i fans, finalmente qualcosa di sensato, visto che le corse cult dei fan, vedono su tutte Monza, ampiamente davanti a Spa, Silverstone e Monaco. E gi&agrave; qui Liberty Media farebbe bene a tremare, visto che in chiave 2023 l&rsquo;idea di chi comanda &egrave; proprio quella di far effettuare un turno di riposo a Spa-Francorchamps, ovvero il tracciato pi&ugrave; bello e probante del mondiale.  Ma questo &egrave; niente, perch&eacute; la vera e propria primizia, decisamente imbarazzante per Liberty Media, &egrave; che solo il 7 per cento degli interpellati pensa che la gara sprint, il famigerato Granpremietto del sabato, programmato quest&rsquo;anno in Gran Bretagna, Italia e Brasile, abbia migliorato il livello dello show offerto nel weekend. E addirittura il 67% dei partecipanti al sondaggio dichiara senza mezzi termini che rifiuta nettamente l&rsquo;introduzione della corsa sprint in gran parte degli appuntamenti iridati 2022. Chiaro, no? In altre parole, la parte pi&ugrave; liquida, elettronica, evoluta e multitasking degli appassionati s&rsquo;&egrave; gi&agrave; schifata dell&rsquo;orrendo, inutile, pomposo e noioso Granpremietto, quindi figuriamoci tutti quelli con tanto di tempie grigie e trippetta che non hanno votato - e sono miliardi di miliardi - perch&eacute;, pur appassionati di F.1 a 24 carati, non ritengono opportuno partecipare a un sondaggio.  Questo, a prescindere da ci&ograve; e prendendo per buono il campione dei partecipanti, ovviamente suona anche come preventivamente tombale rispetto all&rsquo;idea di introdurre surrettiziamente il concetto di doppia gara a weekend, proprio come nella Superbike o nella formula cadetta automobilistica.  Altra netta bocciatura, quasi plebiscitaria, riguarda l&rsquo;ipotesi di cominciare a farci sorbire gare a griglia invertita per facilitare i sorpassi e aumentare lo show, cacciando a fondo schieramento i pi&ugrave; veloci e facendo partire davanti i pi&ugrave; lenti delle qualificazioni.  I tifosi bocciano le novit&agrave;  Quindi, concludendo, le considerazioni da fare son poche, spicce e evidenti a tutti. Tutte le linee di stimolo, rinnovamento e cambiamento in atto o presto attuabili da Liberty Media - ovvero Qualifying Race, griglia invertita, rotazione e possibile turno di riposo a certi Gp storici per fare pi&ugrave; spazio a gare remunerative in paesi privi di tradizione di Motorsport ma ben paganti - ebbene, dicevo, tutte le possibili linee tendenziali della politica dell&rsquo;ente di gestione della F.1 vengono sonoramente e quasi plebiscitariamente quanto nettamente bocciate. E a nulla vale l&rsquo;argomentazione, partita dal ponte di gestione di Liberty, che minimizza il catastrofico rovescio politico-programmatico insito nel risultato del sondaggio stesso, sostenendo che in fondo i tradizionalisti sono uno zoccolo duro difficile da infrangere, mentre dietro questi sta sempre pi&ugrave; emergendo una new wave favorevolissima alle evoluzioni, alle mutazioni e agli ammodernamenti.  Quello che il sondaggio dice veramente  Eh, no. Piuttosto, il sondaggio rivela esattamente il contrario: neanche tra i fans del web, ovvero tra i pi&ugrave; giovani, agili e multitasking, Liberty Media riesce a ottenere lo straccio di un mezzo consenso, rispetto ai cambiamenti in atto. Se facesse casa per casa, ovvero ricorrendo a una scheda cartacea facendo votare i veri veterani magari tramite Autosprint (che poi sono ancora quelli che tengono in piedi tutto il sistema F.1, parliamoci chiaro), il consenso per la maggior parte delle innovazioni pensate (male) sarebbe prossimo allo zero idrometrico.  Detto questo, cari padroni del Circus, smettetela di enfatizzare d&rsquo;avere scoperto, manco fosse la macchina per affettare il brodo, che la F.1 &egrave; ritenuta il vertice dello sport del motore - &egrave; come dire che a Miss Universo c&rsquo;&egrave; un gran bel giro -, o che la McLaren di &lsquo;sto settembre &egrave; la squadra pi&ugrave; amata o che Monza e Spa sono delle gran belle piste, il che vale tanto quanto sostenere che una pizza con Liz Hurley ce la potremmo anche fare. No, basta con monsieur Lapalisse e viva tutto il resto.  Quando chiaramente via internet la parte pi&ugrave; giovane, fresca, sportivamente progressista, flessibile e meno tradizionalista, ossia il popolo del web e dei social media, vi dice chiaramente che non ne avete fatta una giusta. Al punto che tutta questa faccenda pu&ograve; essere riassunta da un solo avverbio. Che &egrave; poi la risposta personale a un autosondaggio che qui lancio e qui chiudo, della durata di una sola riga. Sapete cosa deve fare Libery Media per salvare e migliorare la F.1? Niente. Proprio niente. E se la vuole far crescere negli anni, deve proseguire ad astenersi dal prendere iniziative, continuando a non far nulla e, possibilmente, anche smettendo di commissionare sondaggi. 

Il sondaggio pi&ugrave; globale nella storia della F.1 dice al promoter che meno novit&agrave; propone e meglio &egrave;

Liberty piace se invisibile

Centosettanta gare di digiuno dal successo, dalla prima senza Hamilton, nell&rsquo;ormai sideralmente lontano 2013, ed ecco che la McLaren risorge a Monza con la doppietta Ricciardo-Norris vivendo un giorno storico, nostalgico e pure romantico. Perch&eacute; la squadra di Colnbrook, Woking e quindi di Paragon, &egrave; ormai l&rsquo;ultimo team superstite del ceppo storico di quelli che Enzo Ferrari chiamava gli assembatori, visto che la concerrente Williams in realt&agrave; rispetto a essa &egrave; nata, si &egrave; affermata e consolidata anni dopo, vincendo il primo mondiale nel 1980, mentre la McLaren di Teddy Mayer, succeduto al capostipite ed eroico gruce, morto mentre collaudava una delle sue creature Can-Am a Goodwood il 2 giugno 1970, si era gi&agrave; affermata nel 1974 conquistando l&rsquo;iride piloti grazie a Emerson Fittipaldi, che per uno di quei giochi magici e sovrannaturali del destino era a far festa a bordo podio a Monza, in compagnia del promettentissimo figlio Emmo. Fantastico. La F.1 ha sempre pi&ugrave; bisogno di radici, di segnali d&rsquo;appartenenza, di nomi forti e di agganci dolci con la storia e veder rivivere un marchio cos&igrave; glorioso e dal nome musicalmente evocante diecimila episodi emozionanti di una F.1 che non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;, fa bene all&rsquo;anima, vivifica il sangue e lancia segnali stupendi nonch&eacute; per certi versi salvifici ed epocali.    Perch&eacute;, oltre a essere viva e vegeta, la McLaren a oggi &egrave; l&rsquo;unico team di F.1 nato una volta sola ma dato per spacciato almeno in quattro occasioni e quasi con tanto di reperto autoptico. La prima volta, appunto, nel 1970, con la morte di Bruce McLaren e il passaggio delle consegne gestionali sulle spalle del suo giovane e inesperto pupillo Teddy Mayer, supportato da Tyler Alexander. Sembrava tutto finito e invece quelli del team, allora orgogliosamente orange papaya pi&ugrave; che mai, si limitarono a smettere di piangere e a proseguire i loro impegni in F.1 e Can-Am, ampliando addirittura gli orizzonti per una colonizzazione in F.Indy, divenendo vincenti ovunque. Fitti iridato, Hunt pure, nel 1976, ma poco dopo pure la gestione Mayer perde spinta propulsiva e la Marlboro mette in mora il team dicendo chiaro: o sterzate inserendo qualcuno di nuovo e tosto nella gestione, oppure vi lasciamo e chiudete.  Mayer si impunta e la McLaren sembra morire per la seconda volta, sbagliando tre macchine in due anni, sino a che, a fine 1980, arrivano nel team Ron Dennis e il suo tecnico di fiducia John Barnard, che danno vita alla fantasmagorica e rivoluzionaria Mp4/1, la prima monoposto di F.1 tutta in carbonio, che, gestionalmente e anche semanticamente, nella sigla, segna l&rsquo;ingresso del Project Four di Dennis nell&rsquo;antico ceppo McLaren, col risultato di rifondare la squadra che dominer&agrave; gli Anni &rsquo;80 e non solo con Lauda, Prost e Senna, fino ad Hakkinen e Hamilton, l&rsquo;ultima, vera, grande e meravigliosa scoperta di Ron Dennis, che vince l&rsquo;ultimo titolo per il team nel 2008 a Interlagos, in volata sullo sfortunato Massa.  Bene, da l&igrave; in poi qualche altro bel bagliore, ma sostanzialmente nient&rsquo;altro alla voce gloria, fino al momento in cui i due grandi soci Ron Dennis e Mansour Ojjeh litigano e il primo &egrave; costretto a fare le valige e il secondo invece esce ahim&eacute; di scena per morte naturale, lo scorso giugno. Parliamoci chiaro, dopo l&rsquo;addio stizzito di Dennis, gi&agrave; a fine 2016, si riparla di fine della McLaren, qualcuno&nbsp; di imminente terza morte, che diviene quasi quarta e nondimeno la tragedia del ritorno flop della Honda, con la nuova separazione a fine 2017 e il matrimonio momentaneo con la Renault, preludio alla fornitura ben pi&ugrave; aggressiva (ri)ottenuta dalla Mercedes.    Nel bel mezzo, all&rsquo;interno di una lotta per la sopravvivenza e l&rsquo;altra, ci sono pure riassetti, rimaneggiamenti azionari di quote e soci, l&rsquo;entrata in campo solida e salvifica del fondo sovrano bahrenita Mumtalakat e la progressiva crescita di potere di Zak Brown, il quale diventa infine a ragione o torto il simbolo della caduta del team ma poi anche quello della resurrezione. La quale coincide non certo e non solo casualmente con l&rsquo;arrivo di un caposaldo dirigenziale e gestionale quale Andreas Seidl, dirigente sportivo gi&agrave; fortissimo team principal alla Porsche endurance dal 2014 al 2019 e adesso sugli scudi per il concreto, fattivo ed efficacissimo lavoro di consolidamento e ristruttururazione portato avanti alla McLaren della nuova era, che torna al trionfo proprio a Monza, la pista pi&ugrave; storica di tutte, quella in cui la tradizione, l&rsquo;epica e gli snodi narrativi pi&ugrave; entusiasmanti dell&rsquo;intera saga della F.1 hanno sempre saputo vivere i momenti pi&ugrave; spiazzanti ed eroici. Il discorso, alla fin fine, sta tutto qui.    Ricciardo: &quot;Ho fatto finta di andare piano ma oggi a Monza mi sono scatenato&quot;  La McLaren &egrave; una fenice capace di risorgere dalle sue ceneri forse all&rsquo;infinito, a dispetto degli alti e bassi, dei declini, dei su e gi&ugrave; delle umane cose, riuscendo ogni volta a riprendere la scia dell&rsquo;onda vincente e a sfruttare occasioni di rilancio. Nacque e cominci&ograve; in F.1 grazie alla creativit&agrave;, al talento imprenditoriale, tecnico e agonistico del neozelandese Bruce McLaren nel 1966, poi divenendo tra le pochissime in grado di vincere in F.1 in F.Indy e a Le Mans (che tripla corona!) e rinasce ancora una volta in questo Gp d&rsquo;Italia grazie all&rsquo;australiano Daniel Ricciardo, anche lui originario del Continente Nuovissimo. Carezzato dallo sguardo commosso di Emerson Fittipaldi, il primo iridato McLaren F.1 della lunga storia, e dall&rsquo;esultanza di Zak Brown e Andreas Seidl, artefici ciascuno a suo modo dell&rsquo;ennesima, inattesa ma a questo punto mai ultima revivescenza.  Norris: &quot;Contento per il team, avr&ograve; la mia chance in futuro&quot;  Perch&eacute; la McLaren &egrave; questa. Nei decenni, oltre il suo primo mezzo secolo, cresce, mai si distrugge e sempre si trasforma, mutando per sempre il destino dei suoi uomini. Domenica 12 settembre &egrave; toccato a un nuovo manipolo di neosognatori, ai quali &egrave; riuscito l&rsquo;atteso miracolo. In una F.1 sempre pi&ugrave; alla ricerca di radici perdute, di magnetismo condivisibile e di credibilit&agrave; antiche e ancora spendibili, la McLaren torna a vincere e anche a smuovere, a piacere e a commuovere.  Perch&eacute; vedere trionfare ancora una McLaren, per un attimo &egrave; come sentire vivi tanti nomi ad essa legati, vale tanto quanto un sorriso di Ayrton, un guizzo di James Hunt o i bassettoni di Fittipaldi medesimo che batte di un&rsquo;incollatura Clay al Glen 1974. Perch&eacute; noi tutti a forza di combattere contro le McLaren che furono, c&rsquo;eravamo intristiti all&rsquo;idea di perdere per sempre questa rivale meravigliosa e rivederla sfrecciare al top fa piacere doppio, in quanto la riguadagnata feconda giovinezza d&rsquo;una nemica carissima ci riporta ai giorni pi&ugrave; belli e intensi della nostra.   

Debutto in F.1 nel 1966, la squadra fondata dal compianto Bruce nei decenni &egrave; stata data per spacciata non meno di quattro volte, ma &egrave; sempre riuscita a rifondarsi, risorgendo dalla sue ceneri

Che bello rivedere vincere la McLaren

Monaco 1966, McLaren apre l&#39;era delle livree sponsorizzate. Monaco 2021, McLaren correr&agrave; il GP di Monaco con una grafica esclusiva, caratterizzata dai colori dello sponsor Gulf Oil, con il quale ha un accordo di sponsorizzazione dal 2020. Colori, l&#39;azzurro e arancione, solitamente visti in altre categorie che non in Formula 1. Le Mans soprattutto, dove i colori Gulf hanno colpito l&#39;immaginario collettivo di tanti appassionati.  In occasione del week end lungo di Montecarlo, McLaren sfogger&agrave; i colori sulla MCL35M, sulle divise del team, nel box, sulle tute dei piloti. I caschi di Riccardo e Norris, poi, avranno un tema retr&ograve; e verranno messi all&#39;asta per una raccolta fondi benefica, in favore di Mind, partner del team e realt&agrave; impegnata sul tema delle malattie mentali. A corredo dell&#39;iniziativa, tutta una serie di oggetti del merchandising si potranno acquistare sul sito McLaren Store, accessori in tiratura limitata.&nbsp;  &nbsp;  Il passato McLaren-Gulf e la livrea di Monaco &#39;66  Non &egrave; la prima volta che una McLaren corre in colorazione Gulf Oil, avvenne nel 1997 a Le Mans, quando la F1 GTR corse e giunse seconda nell&#39;edizione della 24 Ore.&nbsp;  Nel 1966, si diceva, la squadra di Woking inaugur&ograve; il filone delle sponsorizzazioni sulle livree delle monoposto, ben prima di aprire il capitolo celebre e iconico con lo sponsor tabaccaio bianco-rosso.&nbsp;Fu per esigenze cinematografiche che le macchine di Bruce McLaren vennero riverniciate di bianco con una banda verde scuro, prestandosi alle riprese del film Grand Prix.&nbsp;  &quot;Sar&agrave; l&#39;omaggio McLaren al celebrato design delle auto da corsa Gulf. Siamo grandissimi fan dei design coraggiosi e audaci e il sorprendente blu Gulf &egrave; tra le livree pi&ugrave; amate nel mondo delle corse, un pezzo di cultura celebrato al di l&agrave; del mondo del Motorsport&quot;, ha commentato Zak Brown.  &quot;Il design &egrave; sempre stato importante per McLaren, lo vedete in ogni cosa che facciamo, dal nostro ritorno al papaya all&#39;incredibile quartier generale del McLaren Technology Centre. Siamo entusiasti di esibire questa livrea e celebrare la nostra fiera associazione con Gulf a Monaco&quot;.&nbsp;    Blu-arancio Gulf iconico con altre case  Colori del marchio petroliere che hanno scritto pagine iconiche nel mondo delle corse, si diceva, prevalentemente nell&#39;Endurance. Le Ford GT40 del 1968 restano ancora oggi nelle mente degli appassionati, come le Porsche 917 del 1969. Altre, recenti, sebbene meno iconiche, applicazioni sulla scena.  &quot;Il rapporto tra McLaren e Gulf si rif&agrave; al 1968 ed &egrave; una delle partnership di maggior successo nelle corse. Siamo entusiasti di rendere omaggio a questa tradizione con il nostro classico design nel GP di Monaco, il pi&ugrave; stiloso e spettacolare del calendario (leggi le novit&agrave; su GP di Turchia e doppia gara in Austria)&nbsp;di Formula 1.  Vedere la reazione di Lando e Daniel, come dell&#39;intero team a questa livrea, &egrave; stata qualcosa di davvero speciale e siamo felici di presentarla ai tifosi. Lo schema cromatico racing blue e arancio fluo Gulf sono iconici, segnare il ritorno in Formula 1 e mostrare la livrea a Monaco con McLaren &egrave; una grande celebrazione della nostra audace e colorata presenza nello sport&quot;, le parole dell&#39;a.d. Gulf, Mike Jones.&nbsp;   

I colori del marchio petrolifero sono iconici nel mondo delle corse. McLaren li proporr&agrave; nel week end di Montecarlo, insieme a una serie di gadget in tiratura limitata, merchandising venduto sullo store ufficiale online

McLaren con i colori Gulf nel GP di Monaco

C&rsquo;era una volta in America. S&igrave;, perch&eacute; la Gt40 rassomiglia al catalizzatore d&rsquo;una saga cinematografica di famiglia e a una storia corale fatta di uomini e sogni. Il primo, quello di Henry Ford II, di comperarsi la Ferrari per renderla propaggine agonistica del suo impero, facendo meglio splendere l&rsquo;immagine di tutte le sue creature. Cos&igrave; comincia il corteggiamento col Drake, quasi si trasforma in flirt e quindi la secca rottura. Okay, pazienza, su stimolo del manager Iacocca si decide d&rsquo;andare avanti da soli, perch&eacute; vale la pena correre e vincere per avere pubblicit&agrave; gratis ogni maledetta domenica sui media di tutto un mondo che McLuhan dipinge come Villaggio Globale.    Inizia (male) la grande offensiva  L&rsquo;Inghilterra sar&agrave; la testa di ponte dell&rsquo;offensiva. Il comandante in capo &egrave; John Wyer, gi&agrave; geniale stratega dell&rsquo;Aston Martin, che prende le stellette finendo preferito a Carroll Shelby, artefice del miracolo Ac Cobra. I prototipi dell&rsquo;Arma Totale li realizzer&agrave; la Lola di Eric Broadley, con Len Bailey in aiuto, dando vita alla Ford Gt. La cifra &ldquo;40&rdquo; deriva dall&rsquo;altezza in pollici della vettura misurata al parabrezza (1,02 m), il motore iniziale &egrave; un V8 4,2 litri derivato dalla serie. Si comincia alla 1000 Km del Nurburgring e alla 24 Ore di Le Mans 1964, ma la vettura &egrave; un disastro. Col cambio fragile e la spaventosa tendenza a diventare portante, la nuova Ford fa paura solo a chi la guida. Il management statunitense &egrave; furibondo, impaziente e interventista. Si decide per il cambio d&rsquo;allenatore. Il nuovo trainer diventa Carroll Shelby, che cambia filosofia d&rsquo;approccio e modulo di gioco: vettura riprogettata e motore potenziato intanto a 4,7 litri, in attesa di una cavalleria ancor pi&ugrave; terrificante, pi&ugrave; un nugolo di piloti Usa. I migliori disponibili. Per tester Bruce McLaren e, soprattutto, il quasi sconosciuto ma fantastico Ken Miles, britannico trapiantato negli Stati Uniti. Sar&agrave; lui, in centinaia di ore di test, la mente e il cuore in pista della grande rivincita.    La riscossa di Ford con Miles e Ruby e la GT40 MkII  La Gt40 &ldquo;stars and stripes&rdquo; trionfa a Daytona 1965 con Miles e Ruby e si prepara a un 1966 da antologia. Stavolta l&rsquo;attacco lo sferra la Gt40 MkII, con motore portato a 7 litri, telaio e aerodinamica riprogettati, cambio ridisegnato e i freni nuovi: il tutto, finalmente affidabile. Miles, classe 1918, ha 48 anni e in coppia col 42enne Ruby, specialista di Indy, fa l&rsquo;en-plein alla 24 Ore di Daytona e alla 12 Ore di Sebring. Sembra lui il grande favorito a Le Mans &rsquo;66, anche se in Ford guardano con fastidio quel vecchietto che vincendo a raffica si sta facendo pi&ugrave; pubblicit&agrave; della Gt40. Fatto sta che alla Sarthe per la prima volta la Ferrari &egrave; perdente e a giocarsi la corsa sono due Gt40 MkII, quella di Miles-Hulme e di McLaren-Amon, in uno stranissimo finale di gara che viene misteriosamente neutralizzato fino alla bandiera a scacchi da ordini interni in casa Ford. Morale, il sicuro trionfo Ford deflagra a livello mondiale ma il possibile successo sognato da Miles, in cerca della tripletta nelle classiche, viene per certi versi derubato: la vettura vincente sar&agrave; quella partita pi&ugrave; indietro in griglia, perch&eacute; di fatto in 24 ore ha percorso maggior distanza. Cos&igrave; la prima grande vittoria Ford a Le Mans tocca a McLaren e Amon, mentre Miles sussurra a mezza bocca: &laquo;Mi hanno fottuto&raquo;. Poco dopo morir&agrave; in un crash durante un test privato. Intanto, preso dall&rsquo;entusiasmo per aver finalmente battuto la Ferrari nella classicissima - e pure in campionato -, Henry Ford II si &egrave; lasciato scappare un minaccioso &laquo;Torneremo&raquo;. E per vincere anche nel 1967 la Casa americana &egrave; costretta a uno sforzo economico immenso, sviluppando l&rsquo;avveniristico prototipo J-Car, che della Gt40 non ha pi&ugrave; nulla, e che si trasformer&agrave; nella MkIV sempre col V8 7 litri. L&rsquo;anno dopo l&rsquo;armada Ford, gi&agrave; al top a Sebring, fa il bis alla Sarthe con Gurney-Foyt.    La seconda giovinezza della GT40  La vita della Gt40 sembra finita ma &egrave; all&rsquo;inizio di una nuova alba. Nel 1968 un cambio di regolamento limita le Sport a 5,0 litri di cilindrata con almeno 50 esemplari esemplari costruiti. Tornano buone le vecchie Mk I portate a 4942 cm&sup3;, con 415 cavalli di potenza. Per John Wyer, &ldquo;allenatore&rdquo; silurato nel 1965, &egrave; l&rsquo;occasione della rivincita personale. Sempre contrario alla grandeur americana e ai motoroni stile Nascar di Shelby, si mette in societ&agrave; con John Willment acquista la factory di Slough e ottiene la licenza per costruire e fornire la manutenzione alle Gt40. La sua J.W. Automotive schiera le Gt40 nel Mondiale marche e cos&igrave; la pi&ugrave; genuina, minimalista e inaffondabile delle Ford vince il titolo 1968 nonch&eacute;, stupefacentemente, con lo stesso telaio, il leggendario n.1075, si aggiudica due edizioni consecutive della 24 Ore di Le Mans. Lo stesso Wyer ricorda nella sua autobiografia: &laquo;Se quelli della Ford nel 1965 mi avessero ascoltato e lasciato lavorare, avremmo ottenuto le vittorie che volevano spendendo molto meno, perch&eacute; il progetto di base della Gt40 era buono e vincente&raquo;.    Gt40, una dinastia vincente  Alla fine, risultati alla mano, hanno ragione tutti. E la Gt40 diviene feticcio dell&rsquo;endurance anni ruggenti. A Le Mans &#39;69 Ickx, nel caratteristico via a piedi, parte ultimo per allacciarsi le cinture con calma e 24 ore dopo vince l&#39;esaltante e drammatico volatone con la Porsche 908 di Herrmann. La Gt40 resta l&#39;indistruttibile sovrana dell&#39;endurance. L&rsquo;ultimo esemplare continua a correre col privato portoghese Emilio Marta in Angola fino al 1979. La prima diva rombante del pianeta Terra inteso come Villaggio Globale termina cos&igrave; una gloriosa carriera paradossalmente in chiave terzomondista e sottotraccia   

Dal 1964, con le sue evoluzioni, la Ford sfid&ograve; la Casa di Maranello aggiudicandosi per 4 volte la classicissima 24 Ore di Le Mans&nbsp;

Ford GT40: l&#39;arma totale di Ford nella guerra contro Maranello

  Enzo Ferrari li chiamava con ironica distanza &ldquo;garagisti&rdquo;. E cos&igrave; dicendo intendeva la civilt&agrave; dei Costruttori britannici che ricorrevano a componenti fondamentali prefabbricate e precotte, per dar vita a monoposto montate come kit car. Un po&rsquo; scatola di meccano, creature met&agrave; sognate, disegnate e disognate e met&agrave; gi&agrave; bell&rsquo;e fatte, nelle componenti pi&ugrave; spinose e decisive, ossia motore e cambio. In particolare, Cosworth Dfv e Hewland. In pratica, reperibili al supermercato, da inizio Anni &rsquo;70, fino alla prima met&agrave; degli Anni &rsquo;80. Gli anni del primo boom della F.1. Narrativo, tecnologico e mediatico.  Ebbene, nella civilt&agrave; dei cosiddetti assemblatori, la Cosworth &egrave; centro di gravit&agrave; permanente, astro splendente e vivificante, oltre che motore tutt&rsquo;altro che immobile. Il debutto vincente del propulsore Dfv - nato da un investimento Ford e dapprima dato in esclusiva alla partner iniziale ed esclusiva Lotus, nel 1967, presto seguita dalla McLaren -, in pochi mesi lo rende oggetto di culto e desiderio. Tanto che, quando nel 1969 la Cosworth stessa prende la decisione di realizzare una propria monoposto completa per i Gran Premi di F.1, il Circus intero &egrave; scosso da un brivido e anche Enzo Ferrari un pochino ci pensa su.  Se questi sanno fare telai come motori - e col vantaggio delle quattro ruote motrici ormai di moda nei Gp di fine Anni &rsquo;60 -, stai a vedere che la Cosworth- Cosworth pu&ograve; diventare una vera e propria castigamatti. E, soprattutto, una vettura completa, coraggiosa e innovativa. Altro che garagisti, insomma.  &nbsp;  Cosworth: un nome, una garanzia    La Cosworth in realt&agrave; nasce nel 1958 quale societ&agrave; e fusione commerciale e di lettere cognomi tra Frank Costin e Keith Duckworth, conosciutisi lavorando insieme alla giovane Lotus. L&rsquo;idea &egrave; quella di dar vita a una factory in grado di produrre quella che a inizio Anni &rsquo;60 appare la risorsa pi&ugrave; scarsa nel peraltro fertilissimo mercato racing anglosassone, ossia i motori da corsa.  Ed &egrave; proprio l&rsquo;incontro tra l&rsquo;ex datore di lavoro Colin Chapman, il gigante Ford in espansione nel mondo dello Sport (vedi Ford Vs Ferrari, Le Mans 1966, il film e oltre) e l&rsquo;ancor piccola Cosworth a dare il via alla scommessa del Dfv che cambier&agrave; e rivoluzioner&agrave; per sempre il mondo della F.1, da poco passato ai 3000 cc aspirati.  Il perch&eacute;? Be&rsquo;, il Dfv (Double Four Valves) &egrave; semplice ultracompetitivo, affidabile, poco costoso da gestire e alla portata di tutti. E da fine 1968 &egrave; gi&agrave; un gran successo, tanto che la Lotus 49 con esso s&rsquo;aggiudicher&agrave; il mondiale premiando Graham Hill, cos&igrave; i motoristi britannici decidono di sviluppare il progetto d&rsquo;una monoposto tutta loro, che riprende il concetto delle quattro ruote motrici che in F.1 aveva gi&agrave; visto nel 1961 il tentativo della coraggiosa Ferguson, poi approdata addirittura alla 500 Miglia di Indianapolis, consorziandosi alla Novi.  &nbsp;  Ma la Cosworth F.1 &egrave; poco pi&ugrave; di un gioco    L&rsquo;idea di base appare lineare, razionale e senza fronzoli. Ormai il Cosworth Dfv in F.1 sta diventan- do una costante. Se si riesce a sviluppare prima degli altri un&rsquo;idea diversa e innovativa, sar&agrave; possibile sfruttare una caratteristica determinante.  Della Cosworth-Cosworth 4 WD se ne occupa il giovane e neoassunto ingegnere Robin Herd, anche se nel frattempo la F.1 conosce la rivoluzione delle ali. E ben presto si realizza che in realt&agrave; il nuovo giacimento d&rsquo;oro sfruttabile pret a porter risiede nell&rsquo;aerodinamica, pi&ugrave; che nella meccanica.  Ecco perch&eacute; per certi versi la monoposto Cosworth come idea e intuizione ancor prima di nascere &egrave; gi&agrave; vecchia e l&rsquo;entusiasmo incipiente dopo poco pare gi&agrave; spento. Fatto sta che il prototipo della vettura viene montato senza troppa fretta in una baracca a lato della factory, che viene chiamata &ldquo;Toyshop&rdquo;, ossia il negozio dei giocattoli, quasi a sottendere che si tratta pi&ugrave; di un passatempo e di un esercizio di stile che di un investimento mirato e deciso.  &nbsp;  Una realizzazione originalissima    In realt&agrave; la Cosworth F.1 si rivela al primo colpo d&rsquo;occhio una delle monoposto pi&ugrave; strane e originali della storia. A colpire di primo acchito sono le forme spigolosissime, squadrate e i voluminosi pon- toni laterali, nonch&eacute; la presa d&rsquo;aria anteriore tipo Naca e il generoso quanto inusitato muso a becco.  Ma questo &egrave; niente. Perch&eacute; le vere novit&agrave; la sorprendente Cosworth F.1 le nasconde sottopelle. In realt&agrave; il propulsore trasmette potenza all&rsquo;assale frontale tramite un complessissimo sistema di tre differenziali e meccanismi posti dalla parte destra del posto guida, tanto che il pilota si ritrova spo- stato leggermente sulla sinistra, per fare spazio al complicatissimo sistema d&rsquo;assemblaggio.  E, per buona misura, la versione specifica del motore, evolutissimo per l&rsquo;occasione, prevede un non marginale utilizzo di magnesio.  &nbsp;  Dal dire al fare c&rsquo;&egrave; di mezzo il male e il peggio    Dalla primavera 1969 comincia un fitto programma di test, precondizione necessaria per fare de- buttare la Cosworth 4 Wd nel mondiale in occasione del Gp di Gran Bretagna, a due passi da casa, il 19 luglio 1969 a Silverstone.  Questa la teoria. Ma prima c&rsquo;&egrave; la pratica e lo sgrossamento, che si rivelano fin da subito impacabilmente catastrofici. Trevor Taylor, ex gregario di Clark alla Lotus, e il cofondatore Mike Costin provano a busso la monoposto e rilevano che il serbatoio dell&rsquo;olio posto dietro il pilota (per dare un senso alla distribuzione dei pesi) causa notevole disagio a chi guida. Tanto che il serbatoio stesso viene spostato e nel frattempo si provvede a ridisegnare il semiasse anteriore.  E arrivano pure i primi pareri di piloti top che iniziano a sgrossare la macchina, primo fra tutti Ja- ckie Stewart, il quale trova l&rsquo;anteriore cos&igrave; pesante, al punto di affermare che &quot;In curva non sono io a guidare la Cosworth ma &egrave; la Cosworth che guida me... Non ci siamo proprio&quot;. Peggio ancora reagisce Bruce McLaren, del quale esistono immagini che lo ritraggono in pausa nell&rsquo;abitacolo della vettura con un&rsquo;espressione puntualmente disgustata.  L&rsquo;ultimo test a poche ore dal Gp e poi l&rsquo;addio  Nei vari test fanno la loro comparsa un piccolo alettone posteriore, un&rsquo;altra presa d&rsquo;aria anteriore, si cerca di agire sulla distribuzione pesi e anche di semplificare il sistema 4x4, ma il sottosterzo cronico rimane insopportabile. Intanto, dal punto di vista gestionale, bisogna decidere qualcosa. Il Gran Premio di Gran Bretagna incombe. Il solo pilota che potrebbe avere interesse a portare in gara la macchina &egrave; Trevor Taylor, il quale, dopo che ha fatto debuttare in F.1, la pestilenziale Shannon tre anni prima, ormai nella vita non ha pi&ugrave; paura di niente.  Il 15 e il 16 luglio 1969, a tre giorni dal Gp, e nelle ultime ore disponibili prima dell&rsquo;inizio delle prove ufficiali, la Cosworth scende in pista a Silverstone per una sessione privata che &egrave; anche un pre-esame definitivo, anche se in pit-lane ci sono musi lunghi e facce con poche speranze. Accanto alla monoposto si vedono pensosi pure Colin Chapman e Jochen Rindt: non sorride nessuno e tantomeno il pilota Trevor Taylor.  Il test si rivela avvilente nei riscontri. La macchina, una volta di pi&ugrave;, appare lenta, pesante e poco affidabile. Hayes della Ford fa sapere a Duckworth e Costin che non ha intenzione di appogiare un progetto simile e in quattro e quattr&rsquo;otto la Coswoth F.1 scompare per sempre dal radar dei Gran Premi. Le due monoposto complessivamente realizzate per portare avanti il progetto esistono tuttora, in mano a collezionisti. Una per anni &egrave; stata esposta al museo di Donington, mentre l&rsquo;altra, addirittura, viene gelosamente conservata in Australia.  Alla Cosworth F.1 &egrave; dedicata una delle frasi pi&ugrave; simpatiche, sferzanti e memorabili mai pronun- ciate da un pilota da Gran Premio, parlando di una monoposto. Proprio pensando a essa, il gran- de Bruce McLaren, da sempre collaudatore di prim&rsquo;ordine, oltre che acclamato campione di hu- mour anglosassone, ebbe a dire: &quot;Ah, che meraviglia! La Cosworth 4 WD d&agrave; immense soddisfazioni solo al pensiero di smettere di guidarla&quot;. 

Strana spigolosa e del tutto originale nelle intuizioni, Robin Herd&nbsp;punta in alto con questa quattro ruote motrici che promette di essere la grande rivelazione della stagione 1969 ma poi, improvvisamente sparisce per sempre. Ecco il perch&eacute;...

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